Negli ultimi anni, l’attività degli influencer ha conosciuto una crescente diffusione e rilevanza, favorita dall’ascesa e dalla sempre maggiore popolarità dei social network. Questo fenomeno ha trasformato profondamente le dinamiche della comunicazione digitale, influenzando il marketing, le strategie aziendali e le abitudini dei consumatori ma, da un punto di vista normativo, il legislatore non è mai intervenuto per regolamentarne l’attività. In tale contesto di crescente sviluppo della professione, è parallelamente cresciuto l’interesse degli enti – in particolare quelli previdenziali -, evidentemente intenzionati a inserire gli influencer nella propria base contributiva.

Allo stesso tempo, la confusione normativa-regolamentare connessa alla figura è testimoniata, negli ultimi anni, dalla difficoltà dei giudici di inquadrare in maniera puntuale, da un punto di vista giuridico, l’influencer all’interno delle fattispecie tipizzate dal legislatore.

Tale incertezza ha generato interpretazioni divergenti e un’applicazione non uniforme delle norme, rendendo ancora più complessa la definizione di un quadro giuridico chiaro e coerente per la professione.

In tale contesto, il rapporto instaurato con un influencer è stato ad esempio considerato alla stregua di un generico “rapporto di lavoro autonomo” (Corte di Giustizia Tributaria – Regione Piemonte, n. 219/23); come “contratto di sponsorizzazione” (Trib. Pavia, 16/1/23); fino ad essere ricondotto al tipico “rapporto di agenzia” ad opera del Tribunale di Roma, con sentenza n. 2615/24.

In quest’ultima ipotesi, il giudice capitolino ha accolto le pretese di “Enasarco”, che aveva sostenuto la natura di agenti di alcuni influencer, sulla base, tra gli altri, di alcuni elementi tipici del rapporto di agenzia, quali quelli relativi alla promozione stabile e continuativa dei prodotti di un’azienda.

Questo orientamento giurisprudenziale evidenzia la tendenza a ricondurre l’attività degli influencer a schemi contrattuali preesistenti, pur in assenza di una disciplina specifica, sollevando interrogativi circa l’adeguatezza del quadro normativo attuale nel regolamentare in modo efficace questa nuova realtà professionale.

Ebbene, quest’ultima pronuncia – nota ai più per aver considerato alcuni “sportivi”, soggetti legati al mondo dello sport, “personal trainer” e “body builder” alla stregua di agenti di commercio – ha aperto il dibattito tra gli addetti ai lavori circa la portata di tale decisione, anche in considerazione degli importanti risvolti economici che dalla stessa possono derivare.

Infatti, la riqualificazione degli influencer in “agenti” comporta l’applicazione, al relativo rapporto, di una serie di oneri e diritti – tanto in capo all’influencer quanto al soggetto/impresa che si avvale dei suoi servizi – previsti dal Codice Civile, così come dagli accordi economici collettivi (c.d. “AEC”) applicabili. Da un’altra prospettiva, l’eventuale riconduzione al rapporto di agenzia comporta l’obbligo, per i c.d. “preponenti” (i.e., le imprese che instaurano un rapporto con un agente), di iscriversi a “Enasarco” con la conseguente obbligazione di versare i contributi all’ente, in misura differente tra “preponenti” e agenti, sulla base delle provvigioni erogate a questi ultimi, della natura del rapporto instaurato (i.e., in monomandato o plurimandato), nonché del tipo di soggetto (i.e., persona fisica o giuridica) con cui il rapporto è instaurato.

Tra le altre cose, poi, l’eventuale riqualificazione in rapporto di agenzia comporta che il “preponente” debba accantonare, di anno in anno, la c.d. “indennità di fine rapporto” che, al ricorrere di determinati presupposti, andrà corrisposta all’agente alla cessazione del rapporto.

Questa impostazione evidenzia come l’inquadramento giuridico degli influencer possa avere rilevanti implicazioni previdenziali per le aziende coinvolte, ponendo ulteriori interrogativi sulla necessità di un quadro normativo più chiaro e adeguato alla specificità della professione.

Per detto motivo e ferma l’inesistenza, come visto, di una norma o di un consolidato orientamento giurisprudenziale che possa permettere di inquadrare oggi, con assoluta certezza, gli influencer, è stato recentemente introdotto un nuovo codice Ateco (il numero 73.11.03) relativo alle attività di “influencer marketing” e “content creator”, operativo dal 1° gennaio 2025.

Facendo seguito a tale novità, l’INPS, con la circolare n. 44/2025 del 19/02/25, è intervenuto in merito, fornendo alcuni chiarimenti e tracciando una linea definita sul giusto inquadramento previdenziale per la figura dell’influencer in assenza di disposizioni normative chiare.

Nello specifico, dopo aver ripercorso i tratti peculiari dei c.d. “content creator” – macrocategoria che ricomprende la figura dell’influencer – l’INPS, analizzando le figure in esame, spiega che “in assenza di specifiche disposizioni normative che le definiscano, si pone la questione dell’inquadramento e della qualificazione giuridica da ricondurre all’interno di un sistema di regole giuridiche costituito da principi e criteri lavoristici, fiscali e previdenziali, che attualmente non le contempla, ma che, tuttavia, allo stato attuale, rappresenta il parametro di riferimento per individuare, di volta in volta, la disciplina previdenziale applicabile (…)”.

Sebbene possa apparire diversamente, la posizione dell’INPS non è in contrasto con quella di “Enasarco”. Quest’ultimo, infatti, per chiedere la riqualificazione degli influencer in agenti aveva analizzato i contratti di riferimento e le concrete modalità di svolgimento di quei rapporti, ritenendoli caratterizzati dagli elementi tipici del rapporto di agenzia.

Allo stesso modo, l’INPS, stressando l’importanza di ricorrere a “variabili chiave, quali le concrete modalità in cui si estrinseca l’attività, il contenuto della prestazione medesima, il modello organizzativo adottato e le modalità di erogazione/percezione dei corrispettivi”, in sintesi spiega che (i) qualora si eserciti una attività di impresa in cui prevalgano i mezzi di produzione rispetto agli elementi personali o si conducano campagne di marketing e altri servizi pubblicitari in forma di impresa, ci si dovrà iscrivere e versare alla Gestione speciale autonoma degli esercenti attività commerciali (c.d. Gestione Commercianti); (ii) se la prestazione viene resa (anche in forma occasionale) attraverso una attività qualificabile come prestazione libero-professionale, con prevalenza di attività personale e intellettuale, e al di fuori dell’esercizio di un’attività di impresa, l’obbligo contributivo si configurerà a favore della Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335; e (iii) infine, qualora l’attività svolta dai soggetti in trattazione presenti caratteristiche riconducibili a prestazioni artistiche, culturali e di intrattenimento, al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge applicabile sorgerà l’obbligo assicurativo verso il Fondo Pensioni per i Lavoratori dello Spettacolo – (c.d. FPLS).

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su The Platform.

Con il Messaggio n. 721 dello scorso 14 febbraio 2022, l’Inps ha fornito istruzioni e chiarimenti circa le nuove funzionalità del servizio “Greenpass50+” finalizzate alla verifica del possesso e della validità della certificazione verde dei lavoratori con una età pari o superiore a 50 anni.

Si ricorda, infatti, che a far data dallo scorso 15 febbraio e fino al prossimo 15 giugno, il legislatore ha imposto l’obbligo vaccinale a tutti i soggetti con una età pari o superiore a 50 anni. Tale obbligo comporta, pertanto, che i lavoratori over 50 per accedere ai luoghi di lavoro sono tenuti a possedere ed esibire, ove richiesto, il “Green Pass rafforzato” (ossia la certificazione verde Covid-19 di vaccinazione o guarigione).

Con il Messaggio, l’Istituto ha chiarito che proprio in ottemperanza alle prescrizioni del legislatore, la funzionalità “Greeenpass50+” è in grado di fornire l’esito (positivo o negativo) della verifica della certificazione tenendo conto del requisito anagrafico.

In particolare, si legge nel comunicato, per i lavoratori over 50 “è verificato il green-pass “rafforzato” (da vaccinazione o da guarigione), mentre per i restanti soggetti è verificato il green-pass “base” (da vaccinazione, da guarigione o da tampone negativo)”.

Il servizio è accessibile sul sito dell’Istituto:

  • attraverso la funzione di ricerca in cui digitare “GreenPass50+”;
  • seguendo, alternativamente, uno dei seguenti percorsi:
    • Prestazioni e servizi” > “Servizi”, nell’elenco alfabetico dei servizi alla lettera “G”; “Servizi”, nell’elenco alfabetico dei servizi alla lettera “G”;
    • Prestazioni e servizi” > “Prestazioni”, all’interno della scheda prestazione “Accesso ai servizi per aziende e consulenti”, nell’elenco alfabetico alla lettera “A”.

Resta, in ogni caso, inteso che il servizio è riservato solamente ai datori di lavoro, siano essi pubblici o privati, ovvero ai loro intermediari mentre i soggetti incaricati delle verifiche possono accedere con SPID/CIE/CNS e selezionare il “profilo cittadino”.

Per i datori di lavoro del settore privato, è direttamente l’Istituto ad individuare i dipendenti in base alle denunce individuali trasmesse tramite i flussi Uniemens.

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Con l’occasione, l’Inps ricorda che coloro che sono stati individuati soggetti incaricati delle verifiche devono avere cura di selezionare solamente i lavoratori “effettivamente in servizio, di cui è previsto l’accesso ai luoghi di lavoro[…]esclusivamente per le posizioni selezionate”, non considerando i lavoratori assenti e/o coloro che eseguono la prestazione in modalità agile.

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L’Inps, con il messaggio n. 3589 del 21 ottobre 2021, ha fornito dei chiarimenti in merito all’utilizzo del portale istituzionale dell’Istituto “Greeenpass50+” per il controllo massivo del Certificato verde Covid-19, (c.d. “Green pass”), da parte dei datori di lavoro, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPa, con più di cinquanta dipendenti.

Il servizio fornito dall’INPS – che ottiene le informazioni interrogando direttamente la Piattaforma Nazionale DGC (PN-DGC) – consente la verifica asincrona del Green pass con riferimento all’elenco di codici fiscali dei propri dipendenti, noti all’Istituto al momento della richiesta.

Il servizio può essere utilizzato dalle aziende interessate previo accreditamento presso l’istituto seguendo la procedura disponibile sul sito internet (accessibile nella sezione servizi per le aziende e i consulenti) indicando i codici fiscali dei verificatori, cioè dei soggetti autorizzati a controllare il Green pass dei lavoratori, che verranno quindi abilitati.

In particolare, il servizio prevede 3 distinte fasi:

  • fase di accreditamento al servizio di verifica del Green pass indicando i verificatori;
  • fase elaborativa, in cui l’INPS accede alla Piattaforma Nazionale-DGC per il recupero dell’informazione del possesso del Green pass da parte dei dipendenti delle aziende che hanno aderito al servizio;
  • fase di verifica, in cui i verificatori accederanno al servizio per la verifica del possesso del Green pass dei dipendenti delle aziende accreditate, dopo aver selezionato i nominativi per i quali verificarne il possesso.

Attraverso questo sistema, da un lato, l’INPS individuerà giornalmente tramite i flussi Uniemens i dipendenti delle aziende accreditate e verificherà il possesso del Green pass da parte di questi ultimi; dall’altro, i verificatori potranno visualizzare ogni giorno tutti i dipendenti dell’azienda, procedendo alla verifica del Green pass solo per coloro che siano effettivamente in servizio.

In risposta si ottiene l’elenco dei nominativi indicati e l’esito, espresso attraverso una croce rossa o una spunta verde, della verifica.

Il lavoratore, se il sistema dovesse indicare che non ha un Green pass valido, ha diritto di chiedere la verifica del certificato in suo possesso al momento dell’accesso al luogo di lavoro tramite l’applicazione Verifica C19.

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La Legge 30 dicembre 2020 n. 178 (Legge di Bilancio 2021) ha introdotto in favore dei lavoratori dipendenti pubblici e privati cosiddetti fragili un nuovo periodo di tutela decorrente dal 1° gennaio 2021 al successivo 28 febbraio. Sul punto è intervenuto anche l’INPS con il messaggio n. 171 dello scorso 15 gennaio fornendo chiarimenti. La tutela in esame consiste nell’equiparazione del periodo di assenza dal servizio al ricovero ospedaliero per i lavoratori in possesso di certificazione riportante l’indicazione della condizione di fragilità, con gli estremi della documentazione di disabilità grave ovvero della condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapia salvavita. L’equiparazione dell’assenza alla malattia comporta il riconoscimento in capo al lavoratore della prestazione economica e della correlata contribuzione figurativa nei limiti del periodo massimo previsto dalla normativa per la specifica qualifica e il settore lavorativo a cui lo stesso appartiene. Ma non solo. La tutela in esame consiste anche nello svolgimento per il lavoratore fragile di norma della prestazione lavorativa in regime di lavoro agile, anche attraverso (i) l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti o (ii) lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.

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L’INPS, con il messaggio n. 4805 del 22 dicembre 2020, ha fornito chiarimenti in merito al rilascio delle certificazioni previdenziali A1/E101 per periodi di lavoro nel Regno Unito, il cui termine è successivo alla fine del periodo di transizione, ovvero al 31 dicembre 2020.

In particolare, l’INPS ha precisato che le richieste di rilascio del modello A1 per periodi di lavoro con data iniziale antecedente il 31 dicembre 2020 e data finale ad essa successiva verranno accolte e i relativi documenti portatili A1 saranno validi fino alla fine del periodo certificato, qualora le stesse siano pervenute o pervengano entro il 31 dicembre 2020.

L’INPS ha, altresì, chiarito che le richieste di rilascio dei modelli A1/E101, le quali sono state rigettate perché relative a periodi decorrenti dal 1° gennaio 2021, verranno rettificate d’ufficio mediante l’emissione di nuovi certificati per l’intero periodo richiesto, purché non vi sia una soluzione di continuità nella legislazione applicabile già certificata dai modelli A1/E101. Spetterà alle direzioni regionali INPS competenti comunicare all’istituzione previdenziale presente nel Regno Unito che è stato rilasciato un nuovo modello A1/E101 per la rettifica del periodo.

Da ultimo, l’INPS ha chiarito che le certificazioni E101 con data successiva al 31 dicembre 2020 potranno essere rilasciate, ove ne sussistano le condizioni, anche per i cittadini dei Paesi Terzi fermo restando che, nel caso di distacchi, il limite massimo per la durata del periodo certificato sia di 12 mesi.