La Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 febbraio 2020, n. 4879, ha affermato che la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della L. 300/1970 in caso di “insussistenza del fatto contestato” è applicabile altresì in caso di inesistenza della contestazione ovvero qualora la stessa contenga fatti diversi da quelli posti alla base del licenziamento.

I fatti di causa

La vicenda processuale da cui trae origine la decisione della Suprema Corte ha visto il susseguirsi di due decisioni allineate da parte dei giudici territoriali di merito.

Infatti, la Corte d’Appello, confermando la sentenza del giudice di prime cure, aveva ritenuto:

  • illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore, per insussistenza del fatto materiale contestato. Ciò in quanto non era stato ravvisato alcun intento minatorio nella frase “io non ho nulla da perdere, se mi faccio male io non mi faccio male da solo” pronunziata dal dipendente come reazione al comportamento del datore di lavoro che gli aveva negato la possibilità di godere delle ferie ad agosto; e
  • violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare, evincibile dalla valutazione comparativa tra le circostanze di fatto enunciate nella contestazione dell’addebito e le differenti ed ulteriori circostanze enunciate nella lettera di licenziamento. In quest’ultima, infatti, si faceva riferimento per la prima volta ad azioni di “ricatto, minaccia e lesione dell’immagine aziendale” asseritamente poste in essere dal lavoratore.

Infine, alla stregua di tali rilievi veniva confermata la correttezza della tutela reintegratoria applicata, senza che rilevasse la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.

Avverso la decisione di secondo grado, il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione, deducendo che i vizi procedurali, anche gravi, possono dare luogo solo ad una tutela indennitaria ridotta, mentre le altre tutele possono applicarsi allorquando vi sia sul piano sostanziale un difetto di giustificazione del licenziamento.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha osservato che in presenza di un licenziamento formalmente viziato, e quindi inefficace, per violazione dell’obbligo di motivazione, trova applicazione una sanzione indennitaria (sempre sostitutiva del posto di lavoro) ridotta, perché variabile da un minimo di 6 ad un massimo di 12 mensilità, tenuto conto della gravità della violazione formale commessa (art. 18, comma 6, dello Statuto dei Lavoratori).

In ogni caso, secondo la Corte di Cassazione, resta ferma l’applicazione delle diverse tutele previste dall’art. 18, commi 4°, 5° o 7° – in sostituzione della tutela indennitaria ridotta e non in aggiunta ad essa – qualora emerga, su domanda del lavoratore, l’ingiustificatezza del licenziamento. Per ingiustificatezza del licenziamento si intende l’inesistenza di un giustificato motivo soggettivo, oggettivo o di una giusta causa il cui onere della prova, una volta che il lavoratore ha spiegato la sua domanda, resta comunque in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 5 della legge 604/1966.

La Corte di Cassazione – di fronte alla dibattuta questione dell’individuazione del regime di tutela applicabile in ipotesi di omessa iniziale contestazione di taluni comportamenti – ha, quindi, statuito che “ove il licenziamento venga intimato senza contestazione disciplinare, lo stesso continua, come in passato, ad essere considerato ingiustificato ed è sanzionato con la reintegrazione ad effetti risarcitori limitati”.

La giustificazione della tutela reintegratoria sempre a parere della Corte, si rinviene nel fatto che, ai sensi dell’art. 18, comma 4, St. Lav., tale tutela è prevista in caso di “insussistenza del fatto contestato”, che implicitamente non può che ricomprendere anche l’ipotesi di inesistenza della contestazione.

A fronte di tutte le ragioni menzionate, il ricorso della società datrice di lavoro è stato respinto, perché considerato privo di ogni fondamento.