Con l’ordinanza n. 24595 del 13 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha statuito che è illegittima, perché non qualificabile come attività di regolare affissione o proselitismo, la condotta del lavoratore che entra in azienda con volantini sindacali attaccati al corpo.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ha impugnato giudizialmente la sanzione disciplinare conservativa irrogatagli per essere entrato all’interno dei locali aziendali con volantini sindacali attaccati al petto e alla schiena.

La Corte d’Appello ha rigettato la predetta domanda, ritenendo che tale manifestazione non rientrasse nel libero esercizio dell’attività sindacale, anche in considerazione della circostanza che il dipendente non aveva mai rivestito alcun ruolo sindacale.

L’ordinanza

La Suprema Corte, nel confermare la pronuncia di merito, ha statuito che l’attività di proselitismo sindacale nei luoghi di lavoro incontra i limiti previsti dall’art. 26, comma 1, della L. n. 300 del 1970, e pertanto si deve ritenere consentita soltanto se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell’attività aziendale, alla luce delle concrete modalità organizzative dell’impresa e del tipo di lavoro cui sono addetti i destinatari delle comunicazioni.

In particolare, con la sentenza in commento, la Corte ha individuato i limiti in cui intendere legittima l’opera di proselitismo sindacale e legittimo l’esercizio del diritto in tal senso, in quanto rispettoso degli “spazi” comunicativi messi a disposizione dal datore di lavoro, in adempimento degli obblighi imposti dal legislatore, anche concordati pattiziamente, e comunque tali da non recare pregiudizio all’ordinario svolgimento della vita aziendale, sotto il normale profilo funzionale e produttivo.

La corte di merito, proprio in riferimento a tale ultima condizione, aveva correttamente ritenuto, con giudizio valutativo, che l’attività di volantinaggio attraverso il c.d. “uomo sandwich” esulasse dai limiti imposti dall’art. 26 richiamato, in quanto fonte di costante distrazione rispetto all’attività lavorativa, recando, dunque, pregiudizio all’ordinario svolgimento della vita ed attività aziendale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal dipendente, confermando la legittimità della sanzione disciplinare irrogatagli.

Con due sentenze “gemelle” (n. 19863 e n. 20620, l’ultima, depositata lo scorso 7 agosto), la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla disciplina dei licenziamenti collettivi, connessa con le operazioni di scissione societaria. Nel caso di specie, una società aveva operato una scissione parziale – attraverso l’assegnazione a due società di nuova costituzione di altrettanti rami d’azienda – redistribuendo la complessiva forza lavoro fra i tre soggetti giuridici risultati dalla suddetta operazione. Un’operazione di tal guisa, a parere della Cassazione così come dei giudici di merito, costituisce negozio in frode alla legge qualora, nell’arco dei successivi 120 giorni, siano realizzati plurimi licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. È stato, infatti, ravveduto nel caso in esame un intento elusivo in frode alla legge – inter alia, degli adempimenti ex artt. 4 e 24, L. n. 223/1991, dunque della procedura di informazione e consultazione sindacale a salvaguardia e garanzia della scelta dei lavoratori in esubero, secondo i criteri di legge – proprio in forza del collegamento negoziale fra l’operazione societaria ed i licenziamenti intimati. A parere della Corte, di fatto, il frazionamento societario ha consentito di attivare licenziamenti individuali suddivisi fra le tre “neonate” società (12 in tutto i lavoratori licenziati, 4 per ognuna), i cui più ridotti requisiti dimensionali non richiedevano di dare impulso alla procedura collettiva di riduzione del personale. Pertanto, benché il mezzo utilizzato sia stato in sé lecito, è stato considerato illecito il risultato perseguito. Valore dirimente, ad avviso della Cassazione, ha rivestito il fatto che, a fronte di un’organizzazione del lavoro sostanzialmente immutata – ove i dipendenti hanno continuato a svolgere negli stessi spazi aziendali le medesime mansioni – il nuovo assetto sia stato solo formale, risolvendosi in una mera frammentazione della forza lavoro.