Con la sentenza n. 1514/2021, pubblicata in data 25 gennaio 2021, la Corte di Cassazione, richiamando principi ormai consolidati, fornisce un quadro preciso delle ragioni inerenti all’attività produttiva che legittimano l’irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ribadendo peraltro che, una volta accertata la sussistenza del motivo posto alla base del recesso, risulta superflua l’indagine sul suo eventuale carattere ritorsivo.

La pronuncia della Corte trae origine dall’impugnazione promossa da una lavoratrice avverso una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo dalla Congregazione religiosa presso cui la dipendente ricopriva mansioni di responsabile di struttura.

In particolare la Corte distrettuale aveva ritenuto legittimo il licenziamento in considerazione dell’andamento economico negativo delle strutture gestite dalla Congregazione le quali avevano imposto una riduzione dei costi ed una rimodulazione dell’organizzazione di lavoro, realizzata tramite la soppressione del posto di lavoro della dipendente che comportava il costo più elevato per la Congregazione con la conseguente attribuzione delle mansioni ad altra religiosa che invece prestava la sua opera senza corresponsione di retribuzione.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché dell’art. 2697 cod. civ. adducendo che la Corte distrettuale avrebbe invertito, nella sua disamina, il rapporto di necessaria causalità tra soppressione della posizione della lavoratrice e riassegnazione delle sue mansioni ad altro personale, ritenendo erroneamente che quest’ultima potesse essere causa della prima e non già il contrario.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso e, richiamandosi a quanto già affermato in precedenti pronunce, ha ribadito il principio per cui la ragione inerente all’attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali (cfr. Cass. n. 25201 del 2016, Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017).

Fissato tale principio generale, la Corte si sofferma ad individuare le circostanze che legittimano l’irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo fondato su una modifica della struttura organizzativa, le quali possono individuarsi sia nella esternalizzazione a terzi dell’attività a cui è addetto il lavoratore licenziato, sia nella soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze (Cass. n. 21121 del 2004, Cass. n. 13015 del 2017, Cass. n.24882 del 2017) sia nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto, sia nel perseguimento della migliore efficienza gestionale o produttiva o dell’incremento della redditività.

In tutti questi casi, prosegue la Corte, resta ferma la non sindacabilità dei profili di congruità ed opportunità delle scelte datoriali a cui fa da contraltare il controllo sia sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso sia sul nesso causale tra l’accertata ragione e l’intimato licenziamento.
Al riguardo, continua la Corte richiamando precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 25201 del 2016 e da ultimo Cass. n. 3819 del 2020), l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Il Quotidiano del Lavoro de Il Sole 24 Ore.

Qualora il datore di lavoro, alla data del 15 novembre 2020, stia ancora fruendo della seconda tranche di nove settimane in forza delle previsioni del “Decreto Agosto” si vedrà computare il rimanente periodo dalle sei settimane del “Decreto Ristori”

Il pacchetto di misure emergenziali sul lavoro inserito nel D.L. 137/2020 varato dal Consiglio dei Ministri il 28 ottobre 2020, prevede una ulteriore breve estensione della cassa integrazione d’emergenza (sia CIGO che CIGD) e dell’assegno ordinario (FIS) pari a sei settimane utilizzabili dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021. A tale ultima data, inoltre, viene ancorata anche la proroga del divieto dei licenziamenti per motivi economici che, dunque, viene ulteriormente differito in maniera generalizzata. Rimangono esclusi da tale preclusione: (i) i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società che non preveda la continuazione dell’attività (anche solo parziale), salvo che si configuri la cessione di un complesso di beni/attività che costituisca un trasferimento d’azienda (o di un ramo) ai sensi dell’art. 2112 c.c.; (ii) le ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevedano la risoluzione incentivata del rapporto di lavoro (limitatamente ai lavoratori che decidano di aderire al predetto accordo); (iii) i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa. In tema di decontribuzione, invece, il decreto de quo ha previsto che per i datori di lavoro privati che non richiedono i trattamenti di integrazione salariale d’emergenza, viene riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di 4 mesi, fruibili entro il 31 gennaio 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale già fruite nel mese di giugno 2020. Le ulteriori sei settimane di cassa integrazione (sia CIGO che CIGD) o di assegno ordinario (FIS), come detto, devono essere circoscritte nel periodo compreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021, mentre i periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi del “Decreto Agosto” e collocati anche parzialmente, in periodi successivi al 15 novembre 2020, sono imputati alle sei settimane del “Decreto Ristori”. È altresì previsto che dette ulteriori sei settimane di trattamento vengano concesse a fronte del versamento di un contributo addizionale, calcolato in modo inversamente proporzionale al calo di fatturato subito dall’azienda nel corso del primo semestre del 2020 rispetto al medesimo periodo del 2019. Il pagamento del contributo addizionale non è invece richiesto ai datori di lavoro che abbiano subito nel primo semestre 2020 una riduzione del fatturato pari o superiore al 20%, nonché per coloro che abbiano avviato l’attività successivamente al 1° gennaio 2019, ovvero siano soggetti alle restrizioni introdotte dal DPCM del 28 ottobre scorso.

Negli altri casi è invece previsto il pagamento di un contributo addizionale pari:

  • al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che nel primo semestre 2020 hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20% rispetto a quello del corrispondente semestre del 2019;
  • al 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che nel primo semestre 2020 non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato rispetto a quello del corrispondente semestre del 2019.

Vale la pena evidenziare, a tal proposito, che il “Decreto Ristori” ha confermato così uno strano meccanismo di assorbimento già introdotto dal “Decreto Agosto” e ampiamente criticato da larga parte degli operatori. In particolare, qualora il datore di lavoro, alla data del 15 novembre 2020, stia ancora fruendo della seconda tranche di nove settimane in forza delle previsioni del “Decreto Agosto”, si vedrà computare il rimanente periodo – che dunque verrà assorbito – dalle sei settimane del “Decreto Ristori”. Questo meccanismo, chiaramente finalizzato ad economizzare le risorse pubbliche, di fatto penalizza paradossalmente quei datori di lavoro che hanno centellinato il ricorso alla cassa integrazione. Oltre a ciò, giova anche rilevare che il ricorso continuativo alla cassa integrazione non consente la integrale copertura del periodo intercorrente tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021. Infine, la sua onerosità rappresenta un ulteriore disincentivo al ricorso agli ammortizzatori sociali da parte delle imprese. Ciò, senza considerare che lo straordinariamente lungo divieto di licenziamento non consente alle aziende il ricorso ad altri strumenti per ridurre il costo del lavoro adeguando le organizzazioni al mutato contesto economico e di mercato.

Non da ultimo, osserviamo che, nel reiterare le norme, il governo avrebbe certamente dovuto aggiornare il riferimento temporale previsto per la determinazione dell’eventuale contributo addizionale.

E’ opinione dello scrivente non ritenere infatti corretto mantenere il riferimento all’andamento del fatturato registrato nel primo semestre 2020, rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente.

Fonte: Norme & Tributi Plus Diritto

A fronte dell’emergenza pandemica in corso che continua ad interessare tutto il nostro Paese, il Legislatore e il Governo hanno inteso introdurre norme volte alla salvaguardia dei posti di lavoro, consentendo la fruizione delle integrazioni salariali e imponendo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966 e di licenziamento collettivo ai sensi della L. n. 223/1991, fatta eccezione per le ipotesi che seguono:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, con messa in liquidazione della società (si noti bene: la chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco);
  • accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con un incentivo alla risoluzione del rapporto per i dipendenti che aderiscono ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASPI, pur trattandosi di una risoluzione consensuale (sembrerebbero escluse le articolazioni territoriali o aziendali);.
  • fallimento senza alcun esercizio provvisorio dell’attività, con cessazione totale della stessa (si noti bene: nel caso in cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’attività da parte di un ramo dell’azienda, resteranno esclusi i settori non compresi nel fallimento).

Con riguardo alla fattispecie in esame nel presente contributo, è stata introdotta anche un’ulteriore attenuazione rispetto al divieto di licenziamento, che opera a prescindere dai limiti dimensionali del datore di lavoro. La conversione del D.L. n. 18/2020, attraverso la L. n. 27/2020, ha infatti modificato l’art. 46, in tema di sospensione dei licenziamenti secondo cui la sospensione delle procedure collettive di riduzione di personale e quelle dovute a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, non si applicano nelle «ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto».

Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203del 14 agosto 2020 il Decreto-legge 14agosto 2020 n. 104 (cd. “Decreto Agosto”), rubricato ”Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”.

Di seguito vengono riassunte le principali novità connesse ai profili lavoristici introdotte dal Decreto Agosto.

A. Nuovi trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga

  1. Sono state introdotte ulteriori diciotto settimane di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga fruibili nel periodo dal 13 luglio 2020 al 31 dicembre 2020.Viene precisato che i periodi di integrazione autorizzati ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge n. 27/2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 sono imputati alle prime nove settimane introdotte dal Decreto Agosto.
  2. Si prevede, inoltre, che l’accesso alle seconde nove settimane di integrazione salariale sia ammesso solo qualora sia stato interamente autorizzato e sia decorso il precedente periodo di nove settimane.

– al 9% se hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20%;

– al 18% se non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato.

Il contributo addizionale non è dovuto dai datori di lavoro che hanno subìto una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e per coloro che hanno avviato l’attività di imprese successivamente al primo gennaio 2019.

B. Esonero dal versamento dei contributi previdenziali

  • Ai datori di lavoro che non richiedono l’estensione dei trattamenti di cassa integrazione viene riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali per un massimo di 4 mesi, fruibili entro il prossimo 31 dicembre. Sempre fino al prossimo 31 dicembre i datori di lavoro che assumono lavoratori a tempo indeterminato in presenza di un aumento dell’occupazione netta sono esonerati dal versamento dei contributi previdenziali per massimo 6 mesi dall’assunzione.

C. Modifiche in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine

  • Viene prorogato dal 31 agosto al 31 dicembre 2020 il termine entro il quale i datori di lavoro potranno prorogare o rinnovare i contratti a tempo determinato anche in assenza delle causali prescritte dall’art. 19, comma 1, del Decreto Legislativo 81/ 2015.
  • Viene specificato che l’eventuale rinnovo o proroga potrà avere una durata massima di 12 mesi e si potrà usufruire del regime speciale solo per una volta sia in caso di proroga che di rinnovo. Dovrà in ogni caso essere rispettato il limite di durata massima dei contratti di lavoro a tempo determinato (24 mesi).
  • La deroga alle causali potrà applicarsi anche a quei contratti a tempo determinato che non erano in essere alla data del 23 febbraio 2020.
  • Viene infine abrogato il comma 1 bis dell’art. 93 del decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che prevedeva la proroga automatica dei contratti di lavoro di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica superiore, di alta formazione e ricerca e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche  in  regime  di somministrazione per una  durata  pari  al  periodo  di sospensione dell’ attività lavorativa, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

D. Proroghe e nuove disposizioni in materia di licenziamenti

  • Viene confermato il divieto dei licenziamenti collettivi ed individuali per giustificato motivo oggettivo, così come la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, per tutti i datori di lavoro che non abbiano interamente fruito delle nuove 18 settimane di ammortizzatori sociali ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del Decreto ad eccezione dei casi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.
  • Vengono esclusi dal divieto in esame:
  • i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale dell’attività medesima,  qualora nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c., ovvero (ii) nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione   del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
  • i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.  Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
  • Viene, altresì, confermato che il datore di lavoro – il quale, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel corso del 2020, abbia proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo – può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge n. 300/1970, revocare in ogni tempo il recesso stesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale con causale COVID, a partire dalla data di efficacia del licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

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I soci e collaboratori dello studio legale De Luca & Partners rimangono a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.

Con la recente ordinanza n. 1170 del 17 giugno scorso, la Cassazione ha fornito interessanti chiarimenti sull’ambito di applicazione del IV comma dell’art. 18 Stat. Lav., norma che – come noto – dispone la reintegrazione in servizio del dipendente illegittimamente licenziato ove venga accertata l’insussistenza del fatto contestato ovvero qualora la condotta rientri tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi.

Nel caso in esame il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente assunto ante Job Act con funzione di responsabile del servizio di contabilità per aver operato senza la necessaria diligenza nell’attività di contabilizzazione.

La Corte d’Appello di Roma – pur accertando, da un lato, la sussistenza del fatto contestato ritenuto, tuttavia, non grave da giustificare il recesso e, dall’altro, l’assenza di specifiche condotte tipizzate nel contratto collettivo – confermava la pronuncia di primo grado, dichiarando l’illegittimità del licenziamento con condanna del datore alla reintegra in servizio del dipendente e alla corresponsione di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto ai sensi del IV comma dell’art. 18 Stat. Lav.

I giudici di merito avevano fondato il proprio convincimento sulla base di una norma di chiusura contenuta nel CCNL che prevedeva l’irrogazione della sanzione conservativa per “quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze speciali che le hanno accompagnate, non siano così gravi da rendere applicabile una maggiore punizione”.

Sulla base di tale previsione contrattuale, la corte territoriale statuiva che, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della novella del 2012, la tutela reale non richiedeva che la norma collettiva prendesse in considerazione lo specifico comportamento del dipendente, risultando applicabile anche “laddove dovesse esistere una ben precisa fattispecie disciplinare, ancorché di carattere generale o “di chiusura” nella quale incasellare il comportamento contestato.

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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro