La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 331 pubblicata lo scorso 10 gennaio 2018, è tornata a pronunciarsi sulle conseguenze sanzionatorie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ritenuto illegittimo. Nel caso di specie un lavoratore era stato licenziato a seguito di una intervenuta modificazione dell’organizzazione di impresa dovuta ad una interdittiva prefettizia disposta per presunte infiltrazioni mafiose. Investito della questione, il giudice amministrativo aveva poi dichiarato illegittimo il provvedimento interdittivo, circostanza che portava il lavoratore ad impugnare il licenziamento per essere venuto meno il presupposto che l’aveva determinato. Seguendo tale ragionamento, il giudice di merito accordava al lavoratore la tutela risarcitoria ex comma 6 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per il caso di licenziamento “dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione”, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità tra le 6 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Di diverso avviso, invece, la Corte di Cassazione la quale ha ritenuto che il caso de quo non è riconducibile a quello che richiede un connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso (constatato che l’interdittiva era stata realmente disposta), ritenendo, quindi, applicabile il regime di tutela risarcitoria previsto dal comma 5 dell’articolo 18, da determinarsi tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 29238 del 6 dicembre 2017, si è nuovamente pronunciata in merito alla legittimità del licenziamento per soppressione della posizione lavorativa avvenuta in seguito ad una riorganizzazione volta a favorire un aumento dell’efficienza e della redditività dell’azienda. Innanzitutto la Suprema Corte ha integralmente confermato la pronuncia d’appello impugnata dal lavoratore licenziato, dando continuità a quell’orientamento secondo cui il giustificato motivo oggettivo è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, se attuata “a fini di una più efficiente gestione aziendale”. In altre parole, secondo la Corte, certe mansioni possono essere ridistribuite fra più lavoratori, con “il risultato finale di far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo”. Inoltre a parere della Corte un licenziamento per giustificato motivo oggettivo non deve necessariamente consistere in uno stato di crisi aziendale. Invero, “ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa”.