L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) è intervenuta, il 16 aprile scorso, in merito alla gestione “Health & Safety” nei luoghi di lavoro a fronte dell’emergenza determinata dalla pandemia da Covid-19, pubblicando il “Covid-19: guidance for the workplace”.
Tale documento contiene una serie articolata di linee guida destinate ad operare nei contesti lavorativi “non sanitari” che tiene conto, oltre che delle raccomandazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), delle indicazioni fornite da un’altra istituzione europea che si sta occupando della diffusione del virus, ovvero il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
Seppure le misure suggerite da tali linee guida abbiano, in vero, già trovato specifiche e ampie risposte da parte del Governo italiano attraverso i molteplici decreti sinora adottati, le stesse assumo particolare importanza in quanto parzialmente confluite nel “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” pubblicato dall’INAIL che, non a caso, opera proprio come focal-point italiano dell’Agenzia attraverso la Direzione centrale Prevenzione.
Le tematiche affrontate dal “Covid-19: guidance for the workplace”
I temi trattati nelle citate linee guida sono diversi e spaziano dalla ricostruzione del quadro generale delle conoscenze scientifiche e delle misure di prevenzione da attuare per contrastare la diffusione del virus, alle indicazioni relative al comportamento da tenere qualora nei luoghi di lavoro vi sia un caso sospetto o confermato di Covid-19.
Di seguito vengono analizzate le novità di principale interesse contenute nelle linee guida in esame:
I datori di lavoro vengono sollecitati ad elaborare un vero e proprio documento utile a preparare l’organizzazione aziendale all’eventualità che nei luoghi di lavoro si sviluppi un focolaio del virus.
L’Agenzia europea si limita a prevedere che tale piano debba stabilire in modo pratico “come” l’attività possa proseguire pur se un numero significativo di lavoratori, appaltatori e fornitori non sia in grado di raggiungere la sede a causa di restrizioni locali sui viaggi o perché ammalatisi.
L’adozione di una misura parzialmente simile viene già richiesta nel nostro ordinamento dal “Protocollo Condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo scorso (anche nella sua versione aggiornata il successivo 24 aprile, il “Protocollo”). Tuttavia, in tal caso, viene richiesto al datore di lavoro un qualcosa in più, ovvero compiere una vera e propria analisi delle varie situazioni che possono avere delle ricadute, più o meno gravi, sull’operatività aziendale e predisporre di conseguenza il suddetto piano.
L’Agenzia europea ritiene che le misure di prevenzione adottate «dovrebbero essere incluse nella valutazione del rischio sul luogo di lavoro che copre tutti i rischi, compresi quelli causati da agenti biologici come stabilito dalla legislazione nazionale e dall’Ue in materia di salute e sicurezza sul lavoro».
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ispettorato del Lavoro con la circolare n. 89 del 13 aprile scorso, è necessario aggiornare il “Documento di valutazione dei rischi” (DVR), in modo tale che lo stesso ricomprenda i rischi connessi alla diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro e individui, inoltre, le misure di prevenzione e protezione adottate contro tale “rischio biologico”.
Nel documento, inoltre, l’Agenzia europea riporta una serie d’indicazioni su come trattare i casi sospetti o confermati di Covid-19 nei luoghi di lavoro, prevedendo il loro immediato isolamento in aree separate e, ove possibile, anche a porte chiuse, mantenendo gli stessi distanti almeno due metri dal resto dei lavoratori presenti. Detta misura è stata ripresa nel Protocollo nella sua versione aggiornata lo scorso 24 aprile.
Vengono fornite anche delle indicazioni sul corretto utilizzo delle mascherine che, secondo l’Agenzia europea, dovrebbe restare una misura complementare e non sostitutiva delle pratiche di prevenzione.
Infine, viene suggerita anche la protezione dei lavoratori che entrano a contatto con il pubblico tramite schermi, in modo da prevenire il possibile contagio attraverso le particelle sospese nell’aria.
Il 6 settembre 2019, l’European Data Protection Board (“EDPB”) ha terminato i lavori di consultazione pubblica ai quali è stato sottoposto il documento contenente il draft delle prossime Linee Guida n. 3/2019 riguardanti la videosorveglianza (“Guidelines 3/2019 on processing of personal data through video devices”).
Le immagini e le tracce audio che vengono trattate attraverso l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza, rientrano nella definizione di “dati personali” in quanto permettono l’identificazione, diretta o indiretta, di una persona fisica. I trattamenti effettuati riguardo a tali informazioni, pertanto, devono essere pienamente conformi al Regolamento EU 2016/679 – GDPR – in materia di protezione dei dati personali e (nel rispetto della normativa italiana) e al D.lgs. 196/2003 così come modificato dal D.lgs. 101/2018 recante norme di adeguamento dell’ordinamento nazionale al Regolamento stesso.
Lo scopo che il Comitato Europeo vuole raggiungere con l’emanazione di queste nuove Linee Guida, è quello di garantire un’applicazione uniforme della normativa in materia di videosorveglianza all’interno di tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea.
Ciò premesso, occorre innanzitutto precisare come siano di fondamentale importanza le precisazioni riportate nel draft riguardanti la base giuridica sulla quale si fonda l’installazione dell’impianto.
In linea teorica, è possibile che ricorrano tutte le condizioni di liceità previste dall’articolo 6, par. 1), del GDPR anche se, quelle più applicate nella prassi, sono il legittimo interesse che il Titolare del trattamento necessita di perseguire (art. 6, par. 1), lett. f), GDPR) ovvero l’esecuzione di un compito di interesse pubblico (art. 6, par. 1), lett. e), GDPR).
Il Comitato Europeo chiarisce come il Titolare del trattamento, dovrà specificare dettagliatamente sia la base giuridica sulla quale si fondano i trattamenti posti in essere, sia il dettaglio delle finalità perseguite. Un sistema basato sulla “sicurezza” nella sua nozione più semplice e generica, infatti, non rappresenta più una finalità sufficientemente dettagliata.
Un’altra importante precisazione riguarda le riprese basate sul legittimo interesse. Il trattamento è considerato lecito solamente se tale base giuridica rimane sempre reale, attuale e dimostrabile.
L’Autorità Garante italiana, in diverse occasioni, ha raccomandato ai Titolari del trattamento di utilizzare lo strumento della videosorveglianza in maniera proporzionata e non eccedente e tale approccio è possibile ritrovarlo nel draft delle prossime Linee Guida. Prima di procedere con l’installazione di tali impianti, infatti, il Titolare del trattamento dovrà utilizzare altri strumenti (quali, ad esempio, il supporto da parte di apposito personale addetto alla sicurezza, la dotazione di cancelli telecomandati o di adeguata illuminazione) e dimostrare l’effettiva necessità dell’adozione di un sistema di videosorveglianza. Ciò, prestando particolare attenzione a limitare e definire, sia temporalmente sia geograficamente, le riprese in modo da rispettare costantemente il principio di minimizzazione dei dati personali di cui all’art. 5, punto 1, lettera c) del GDPR.
Ad ogni Titolare del trattamento, viene richiesto di effettuare un bilanciamento tra gli interessi coinvolti analizzando, caso per caso, il legittimo interesse del Titolare da un lato e i diritti e le libertà fondamentali degli interessati dall’altro.
In considerazione di quando sopra, si attende la pubblicazione del testo definitivo delle Linee Guida da parte dell’EDPB le quali rappresentano non solo il primo documento che applica i principi del GDPR ai trattamenti effettuati tramite video riprese ma anche, per l’ordinamento nazionale, il primo nuovo documento in materia dopo il “Provvedimento in materia di videosorveglianza” emanato dal Garante l’08 aprile 2010.