Storicamente, il lavoro frontaliero tra l’Italia e la Svizzera è stato disciplinato dall’Accordo siglato a Roma nel 1974 e, altresì, dalla Convenzione contro le doppie imposizioni del 1976, tuttora in vigore tra i due paesi.
Dette intese stabilirono che i salari, gli stipendi e gli altri elementi facenti parte della remunerazione che un lavoratore frontaliero – generalmente inteso quale lavoratore, sia dipendente che autonomo, che svolge la propria attività in uno Stato diverso da quello in cui risiede, e che ritorna nello Stato di residenza, in linea di massima, quotidianamente o almeno una volta alla settimana – riceve come corrispettivo di un’attività dipendente fossero imponibili soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta.
Tuttavia, lo sviluppo tecnologico e, soprattutto, il periodo di emergenza Covid hanno mutato gli originari scenari imponendo all’Italia ed alla Svizzera di far fronte alla forte diffusione dell’utilizzo delle c.d. modalità agili di svolgimento della prestazione lavorativa che, diversamente dal passato, non è più necessariamente resa all’interno dei locali aziendali e, per quanto qui di stretto interesse, non comporta più il quotidiano passaggio oltreconfine.
A decorrere dal 1° gennaio 2024, per effetto dell’entrata in vigore della Legge n. 83/2023 a recepimento dell’accordo del 23 dicembre 2020, importanti novità sono subentrate nei rapporti tra Italia e Svizzera dal punto di vista della normativa fiscale applicabile ai cosiddetti lavoratori frontalieri, con effetto anche sulle linee guide attinenti al lavoro da remoto.
Con l’entrata in vigore della Legge n. 83/2023 si è concluso il processo di revisione degli accordi tra Italia e Svizzera aventi ad oggetto il regime del lavoro frontaliero, avviata dal già citato protocollo del 23 dicembre 2020. Il nuovo accordo, formalizzato dalla citata legge, interviene sull’accordo e la convenzione per evitare le doppie imposizioni siglati rispettivamente nel 1974 e nel 1976, adeguandoli alla luce delle nuove intese raggiunte dai due Paesi.
Le nuove disposizioni concordate tra Italia e Svizzera – entrate in vigore il 17 luglio 2023, ma applicabili dal 1° gennaio 2024 – hanno ad oggetto la definizione del lavoro frontaliero e il regime fiscale applicabile rispetto ai redditi di lavoro conseguiti dalle persone interessate. Le parti hanno concordato che le stesse siano soggette a riesame su base quinquennale.
Nel dettaglio, la definizione di lavoratore frontaliero è stata rivista dal nuovo accordo, venendo attribuita a qualsiasi lavoratore residente in uno Stato contraente che è fiscalmente domiciliato in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 km dal confine con l’altro Stato contraente. Le aree di frontiera contemplate dall’accordo sono, per la Svizzera, i cantoni Grigioni, Ticino e Vallese, e, per l’Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano.
Per essere considerato frontaliero , il lavoratore deve svolgere un’attività di lavoro nelle citate area di frontiera dell’altro Stato e tornare, in linea di principio, al proprio domicilio principale nello Stato di residenza quotidianamente. Tale status viene mantenuto se il lavoratore non rientra al proprio domicilio, per motivi professionali, per un massimo di 45 giorni in un anno civile, esclusi i giorni di ferie e di malattia.
Ai fini fiscali, il nuovo accordo dispone una distinzione tra “vecchi” e “nuovi” frontalieri . Rispetto ai primi – ossia i lavoratori già in possesso dello status di frontalieri al 17 luglio 2023 oppure che nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2018 ed il 17 luglio 2023 hanno svolto un’attività di lavoro nell’area di frontiera – continueranno ad applicarsi le regole della precedente versione dell’accordo, che contemplano il principio della tassazione esclusiva nel Paese di svolgimento dell’attività lavorativa, ammesso che il lavoratore risieda entro 20 km dal confine tra i due Stati.
Rispetto ai secondi – ossia i lavoratori che hanno conseguito lo status di frontalieri a partire dal 17 luglio 2023 – l’imposizione fiscale avverrà secondo il criterio della tassazione concorrente.
Difatti, lo Stato dove l’attività lavorativa viene esercitata effettuerà una ritenuta alla fonte sul reddito conseguito dal soggetto, fino ad un massimo dell’80% di quanto dovuto in base alle disposizioni sulle imposte sui redditi delle persone fisiche, comprese le imposte locali.
Lo Stato di residenza del lavoratore, altresì, assoggetterà ad imposizione fiscale il medesimo reddito, garantendo l’eliminazione della doppia imposizione secondo le regole previste dalla convenzione fiscale vigente tra i due Paesi (nel dettaglio, riconoscendo un credito pari alle imposte versate nello Stato di svolgimento dell’attività lavorativa oppure garantendo l’esenzione rispetto al reddito ivi assoggettato).
Per effetto delle disposizioni in vigore dal 1° gennaio 2024, ai lavoratori frontalieri tra l’Italia e la Svizzera è concessa la possibilità di svolgere la propria attività lavorativa in regime di lavoro agile presso il proprio domicilio ed entro la soglia del 25% dell’orario di lavoro, senza che ciò comporti alcun impatto sul relativo regime fiscale.
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L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (cd. “Brexit”) avrà impatti sulla mobilità internazionale a fini lavorativi e sul trasferimento dei dati personali verso il Regno Unito.
Il Regno Unito ha previsto la possibilità per i cittadini UE già presenti da almeno 5 anni sul territorio britannico alla data del 31 dicembre 2020 di richiedere la conferma del diritto di soggiorno (per lavoro, studio etc.) oltre tale data. La richiesta potrà essere inoltrata on-line entro il 30 giugno 2021 attraverso la compilazione dell’EU Settlement Scheme messo a disposizione sul sito del Governo britannico, ottenendo il settled status.
Se il periodo di permanenza è inferiore a 5 anni sarà possibile richiedere di restare nel Regno Unito per completarlo ottenendo, sempre attraverso il modulo di cui sopra, il pre-settled status. A differenza del settled status, il pre-settled status si perde con un’assenza dal paese pari o superiore a due anni.
Questa procedura garantirà gli stessi diritti di cui un cittadino facente parte dell’UE e residente nel Regno Unito godeva prima della Brexit. Sarà infatti possibile restarvi indefinitamente, lavorare, avvalersi del servizio sanitario, studiare e usufruire dell’accesso ai fondi pubblici, quali prestazioni sociali e pensioni.
Per i nuovi ingressi effettuati dal 1° gennaio 2021 sarà, invece, necessario richiedere il visto secondo il nuovo sistema di immigrazione a punti, il Points-based immigration system.
Anche l’Italia ha previsto una procedura di conferma dei diritti acquisiti dai cittadini britannici presenti sul territorio nazionale alla data del 31 dicembre 2020; questi, infatti, potranno richiedere il “documento di soggiorno in formato elettronico” presso la Questura competente per luogo di residenza. Mentre a coloro che effettueranno il proprio ingresso a partire dal 1° gennaio 2021 verranno applicate le stesse procedure previste per i cittadini extracomunitari.
Protezione dei dati personali
Per il trasferimento dei dati personali verso il Regno Unito, sarà necessario, come chiarisce l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (il “Garante”), fare riferimento all’”Accordo commerciale e di cooperazione” (“Accordo”) sottoscritto lo scorso 30 dicembre 2020 dall’Unione Europea e dal Regno Unito (“Trade And Cooperation Agreement Between The European Union And The European Atomic Energy Community, Of The One Part, And The United Kingdom Of Great Britain And Northern Ireland, Of The Other Part”).
Secondo l’Accordo, nel Regno Unito continuerà a trovare applicazione il Regolamento (UE) 2016/679 in materia di protezione dei dati personali (il “GDPR”) per un periodo massimo di 6 mesi, ovvero fino al 30 giugno 2021. Di conseguenza, stando a quanto precisato dal Garante, “in questo periodo qualsiasi comunicazione di dati personali verso il Regno Unito potrà avvenire secondo le medesime regole valevoli al 31 dicembre 2020 e non sarà considerata un trasferimento di dati verso un paese terzo”.
Sempre secondo l’Accordo, durante questo periodo di transizione, il Regno Unito e l’Unione Europea si sono impegnate ad adottare delle decisioni di adeguatezza reciproche. In mancanza di tali decisioni, troverebbero applicazione le disposizioni di cui al Capo V del GDPR che disciplinano il trasferimento di dati dall’UE verso Paesi Terzi. Tali disposizioni richiedono l’esistenza di garanzie adeguate, quali ad esempio norme vincolanti di impresa, clausole contrattuali tipo e codici di condotta (cfr art. 46 del GDPR). Ciò salvo deroghe specifiche, come il consenso dell’interesso o trasferimento necessario per l’esecuzione di un contratto o per importanti motivi di interesse pubblico (art. 49 del GDPR).
Inoltre, dal 1° gennaio 2021, i Titolari e i Responsabili del trattamento che hanno la propria sede nel Regno Unito e che sono comunque soggetti all’applicazione del GDPR, poiché trattano dati per l’offerta di beni e servizi o per il monitoraggio del comportamento di interessati all’interno dell’Unione (cfr. art. 3, par. 2, GDPR), dovranno designare un Rappresentante nello Spazio Economico Europeo ai sensi dell’articolo 27 del GDPR.
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