Sia nel pubblico che nel privato tutti i lavoratori dovranno avere accesso alle informazioni sui livelli salariali individuali e su quelli medi ripartiti per genere
Entro il 7 giugno 2026 gli Stati della Ue devono recepire la direttiva Europea 2023/970, che introduce nuovi obblighi per i datori di lavoro in materia di trasparenza e parità salariale ed è entrata in vigore il 6 giugno 2023.
L’obiettivo del legislatore europeo è quello di ridurre il divario salariale attraverso l’introduzione di specifici obblighi di trasparenza delle retribuzioni.
Secondo quanto dichiarato nei “considerando” della direttiva, infatti, nell’ambito della Ue le donne guadagnerebbero, a parità di mansioni, in media il 13% in meno degli uomini e questo divario deriva «da una mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi».
Entrando nel dettaglio delle previsioni comunitarie, l’ambito di applicazione della direttiva abbraccia tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, e impone obblighi di trasparenza salariale già dalla fase di selezione.
In particolare, per quanto riguarda la fase preassuntiva è previsto l’obbligo per i datori di lavoro di fornire ai candidati e alle candidate a una posizione lavorativa informazioni dettagliate relative ai livelli salariali specifici per una determinata mansione. In più, sarà impedito ai datori di lavoro di richiedere informazioni sulle retribuzioni attuali o passate dei candidati e delle candidate.
In costanza di rapporto di lavoro, invece, è previsto l’obbligo per i datori di lavoro di consentire a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici di accedere alle informazioni sui livelli salariali individuali e su quelli medi ripartiti per genere.
Ulteriori obblighi di informazione e trasparenza sono previsti poi relativamente alle informazioni sul divario retributivo di genere individuato per categorie di lavoratori e ripartito in base alle componenti fisse e variabili della retribuzione. Tali informazioni dovranno infatti essere destinate a tutti i lavoratori e alle lavoratrici, ai loro rappresentanti e, su richiesta, all’Ispettorato del lavoro e agli organismi di parità.
Tali soggetti, in forza della direttiva, sono legittimati a chiedere chiarimenti rispetto alle informazioni fornite e qualora eventuali differenze salariali rilevate non siano giustificate da criteri oggettivi, sarà obbligo dei datori di lavoro porvi rimedio.
Quanto alle tempistiche e alla periodicità delle comunicazioni in questione, queste si differenziano a seconda delle dimensioni occupazionali delle imprese. In particolare:
1) per i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti, l’obbligo scatterà dal 7 giugno 2027 e avrà periodicità annuale; 2) per i datori di lavoro con una forza lavoro compresa tra 150 e 249 risorse, l’obbligo avrà una periodicità triennale con decorrenza dal 7 giugno 2027;
3) per i datori che impieghino tra 100 e 149 risorse l’obbligo avrà una periodicità triennale con decorrenza dal 7 giugno 2031.
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Il 23 novembre Stefania Raviele ha partecipato alla terza edizione di WomenX Impact la manifestazione nata da un’idea di Eleonora Rocca per dar voce alle donne, che si sono distinte nei loro percorsi di carriera, e alle aziende, che si sono impegnate con progetti importanti in ambito Diversity & Inclusion.
Durante l’evento, insieme ad Alice Farella Monti, Stefania ha tenuto un keynote speech intitolato: “Killing It softly: come uccidere i bias di genere che impattano la tua carriera” e ha affrontato l’importanza di riconoscere e comprendere i pregiudizi per imparare non solo a combatterli, ma anche a evitare di normalizzarli.
La Direttiva 2023/970, che introduce nuove tutele per i lavoratori e nuovi obblighi per i datori di lavoro in materia di parità salariale e trasparenza, prevede che gli Stati membri saranno tenuti ad adeguare le loro legislazioni locali, promuovendo (e persino imponendo) la trasparenza salariale anche nel rapporto di lavoro privato.
Gli stessi obblighi saranno previsti per i datori di lavoro che impieghino tra le 150 e le 249 risorse, i quali saranno tenuti a fornire le informazioni entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni. I datori che impieghino, invece, tra 100 e 149 risorse avranno tempo fino al 7 giugno 2031 e successivamente ogni 3 anni.
Nel nostro Paese, come evidenziato, l’attuazione di quanto disposto dalla Direttiva avrà sicuramente un impatto in materia giuslavoristica: in primo luogo, infatti, sarà sicuramente necessario adattare alcune norme già esistenti, come, ad esempio, quelle relative ai tempi e ai modi di effettuazione delle comunicazioni all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e agli altri organismi di controllo.
Anche i contratti collettivi verranno prevedibilmente interessati dall’attuazione della Direttiva, con la probabile introduzione di alcuni specifici meccanismi di consultazione e comunicazione con gli interlocutori sindacali, secondo un meccanismo già rodato, essendo già esistente per i dati occupazionali e di andamento dell’impresa.
Sempre in ambito attuativo, è altamente probabile che a livello di legislazione nazionale venga istituito un meccanismo di controllo e, se del caso, di sanzioni per le violazioni degli obblighi stabiliti. In linea con le premesse della Direttiva, inoltre, gli organismi di parità avranno un ruolo di rilievo sia nella supervisione che nell’applicazione di sanzioni. Riguardo a quest’ultimo aspetto, la possibilità per gli organismi di parità di agire in rappresentanza dei lavoratori contribuirebbe a migliorare l’efficacia e la sostenibilità economica della tutela dei diritti delle parti interessate.
L’introduzione della nuova normativa andrà ad aggiungersi e ad ampliare la portata delle protezioni già esistenti. Esempio ne è il D.Lgs. n. 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità), che già contiene al suo interno delle norme sulla parità di retribuzione, il quale verrà ampliato ed integrato dalla nuova normativa con riferimento agli oneri a carico del datore di lavoro in caso di denuncia di comportamenti di discriminazione salariale.
In proposito, l’attuale formulazione del Codice delle pari opportunità attualmente include un particolare meccanismo di ripartizione dell’onere della prova nei casi di presunta discriminazione salariale. Questo meccanismo prevede che il denunziante debba sopportare un onere della prova ridotto rispetto alle regole generali del processo civile, mentre il datore di lavoro è responsabile di dimostrare l’assenza di discriminazione. La Direttiva amplierebbe ulteriormente questa protezione, introducendo esplicitamente un concetto di “inversione dell’onere della prova”. Di conseguenza, il datore di lavoro si troverà prevedibilmente a dover dimostrare non solo l’assenza di discriminazione, ma anche di aver adempiuto in modo corretto e tempestivo a tutti gli obblighi normativi pertinenti. Ciò comporterebbe una maggiore protezione e garanzia per le persone che si ritengono vittime di discriminazione salariale.
Più difficile, invece, è immaginare che dalla violazione di quanto disposto in attuazione della normativa in questione possano emergere nuove voci di danno, essendo risarcibile esclusivamente il danno effettivamente sofferto dalla parte lesa, nelle sue diverse forme e non trovando dimora nel nostro ordinamento di diritto civile altre voci di danno (come ad esempio i c.d. danni puntivi di matrice anglosassone).
Infine, la legislazione attuativa avrà il difficile compito di rispondere ad una serie di interrogativi che hanno tutt’altro che un trascurabile impatto pratico: cosa accadrà in situazioni in cui non esistano punti di riferimento concreti per effettuare un confronto, come nel caso di mansioni assegnate a un unico dipendente? Sarà possibile fare affidamento su dati statistici o sarà necessario valutare la situazione in tempo reale? Quali implicazioni comporterà l’attuazione di politiche retributive molto diversificate? Come potranno i datori di lavoro proteggere la confidenzialità delle proprie politiche retributive, evitando al contempo di rendere queste informazioni note alla concorrenza?
Il legislatore dovrà tener conto preventivamente di queste questioni per gestire in modo efficace e sicuro l’impatto della Direttiva e le introduzioni normative che mirano a promuovere la parità di genere, poiché sembrano rappresentare una vera e propria rivoluzione normativa in questo ambito.
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Lo scorso maggio è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2023/970.
Quest’ultima è entrata in vigore lo scorso 6 giugno 2023 e gli Stati Membri dovranno adeguarsi alle previsioni in essa contenute entro il 7 giugno 2026, pena l’avvio della procedura di infrazione a loro carico.
A ciascuno Stato Membro (inclusa l’Italia) è richiesto di adottare tutte le misure legislative necessarie a garantire la trasparenza retributiva anche nel settore privato.
In particolare, dovranno essere introdotti – nella legislazione nazionale – obblighi normativi che impongano ai datori di lavoro di fornire informazioni adeguate sul salario e sui livelli retributivi sia ai candidati ad una posizione lavorativa che ai lavoratori ed alle lavoratrici già in forza.
In questo senso, dispone la Direttiva, dovrà essere garantito ai candidati ad una posizione lavorativa il diritto di ricevere tutte le informazioni sui livelli salariali relativi ad una specifica mansione, mentre tutti i lavoratori e le lavoratrici dovranno poter accedere alle informazioni sui livelli salariali individuali e quelli medi ripartiti per genere, per categorie di personale o per mansioni analoghe. Dovrà essere poi impedito al datore di lavoro di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.
Per garantire il funzionamento dei meccanismi di trasparenza introdotti, dovrà inoltre essere previsto un obbligo per i datori di lavoro di informare annualmente tutti i lavoratori e le lavoratrici del diritto di ricevere le informazioni in questione, le quali – in ogni caso – dovranno essere obbligatoriamente comunicate anche all’autorità designata, da quei datori di lavoro che occupino più di 100 dipendenti.
Le ultime citate informazioni dovranno essere anche fornite ai rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici, agli ispettorati del lavoro e agli organismi per la parità, i quali avranno anche diritto di chiedere dettagli ulteriori in merito a qualsiasi dato fornito, comprese spiegazioni su eventuali differenze retributive di genere.
Gli strumenti legislativi nazionali – da adottarsi in conformità con la Direttiva – dovranno garantire a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici l’accesso alle informazioni sui livelli salariali individuali e quelli medi ripartiti per genere, ponendo un onere in capo al datore di lavoro di adottare meccanismi appropriati e funzionali allo scopo.
I datori di lavoro dovranno anche predisporre una descrizione dei criteri (neutrali) alla base della determinazione della retribuzione e dell’avanzamento di carriera e dovranno fornire ai lavoratori che lo richiederanno tutte le informazioni sul livello retributivo.
Gli Stati membri dovranno provvedere affinché i datori di lavoro forniscano le informazioni relative alla loro organizzazione, in particolare sul divario retributivo di genere (nelle componenti complementari o variabili) sia nella assegnazione che nella quantificazione, descrivendo il numero di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ogni quartile retributivo.
È inoltre previsto che i datori di lavoro con almeno 250 lavoratori e lavoratrici in forza forniscano, entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni anno, i sopra citati dati con riferimento all’anno civile precedente. Medesimi obblighi sono previsti per i datori di lavoro che hanno tra le 150 e le 249 risorse umane, che dovranno fornire le informazioni entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni, mentre i datori di lavoro che hanno tra i 100 e i 149 lavoratori e lavoratrici in forza avranno tempo fino al 7 giugno 2031 e successivamente ogni tre anni.
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Oggi Stefania Raviele ha partecipato all’evento organizzato Credit en Rose e ha affrontato il tema dell’Inclusione e parità di genere.
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