Ai fini della verifica circa la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento è irrilevante il fatto che un’inadempienza analoga a quella contestata al lavoratore licenziato, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro. Così si è espressa la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 88 del 3 gennaio 2023.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla ordinanza in commento, trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato ad un dirigente con funzioni di responsabile della direzione rischio e gestione crediti a cui la società aveva contestato la mancata applicazione di nuove regole di gestione dei crediti e di aver disatteso le direttive aziendali che imponevano di attendere l’autorizzazione del nuovo amministratore delegato nonché all’organizzazione di una riunione del Comitato credito senza convocare l’amministratore delegato.

Il Tribunale di Milano dichiarava illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al dirigente e condannava la società a corrispondergli l’indennità sostitutiva del preavviso e la somma pari a 15 mensilità di retribuzione mensile a titolo di indennità supplementare, oltre accessori.

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Milano, riteneva invece provati ed idonei a giustificare il licenziamento (pur se non per “giusta causa”) gli addebiti mossi dalla società al dirigente nella lettera di contestazione disciplinare, ritenendo tali condotte come “inappropriate rispetto al ruolo dirigenziale attribuito ed idonee a fondare la decisione, non arbitraria né pretestuosa, del datore di lavoro di porre fine al rapporto, tenuto conto dei rilevanti compiti strategici del dirigente”.

La Corte territoriale, pur confermando la debenza dell’indennità sostitutiva del preavviso, in quanto i fatti contestati non potevano integrare una giusta causa di licenziamento, condannava il dirigente a restituire le somme percepite a titolo di indennità supplementare.

Il dirigente proponeva dunque ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, lamentando, tra gli altri motivi di ricorso, che la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare il fatto che gli addebiti mossi erano imputabili alla responsabilità di altri soggetti a cui non era stato contestato alcun fatto, mentre l’esame di tale fatto avrebbe indotto la Corte a ritenere il licenziamento arbitrario e illegittimo.

L’ordinanza della Corte di Cassazione

Gli Ermellini, nel motivare l’infondatezza del motivo di impugnazione addotto dal dirigente, hanno richiamato il principio di diritto secondo cui “ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un’analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; tale valutazione costituisce un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se privo di vizi logici evidenti (cfr. Cass. 14251/2015, n. 10640/2017), con la conseguenza che non è qualificabile come discriminatorio l’esercizio di discrezionalità disciplinare datoriale in relazione a posizioni differenziate, ove ancorato a specifici elementi di fatto”.