La disciplina dei rapporti di lavoro a termine ha subito interventi importanti da parte della normativa emergenziale che è stata oggetto, e lo è a tutt’oggi, di un ampio dibattitto da parte dei commentatori che non si sono risparmiati nell’individuare gli innumerevoli profili critici e contradditori.
Il contributo dell’Avv. Vittorio De Luca e dell’Avv. Iacobellis offre dapprima una panoramica high-level della disciplina di cui al D. Lgs. 81/2015 e successive modifiche del contratto a termine e del contratto di somministrazione, soffermandosi poi sulla disciplina emergenziale in questo ambito che ha parzialmente derogato alle previsioni di cui al D. Lgs. n. 81/15.
La normativa in tema di COVID-19 anche con lo scopo di agevolare l’utilizzo di forme di contrattazione a termine si è rivelata così farraginosa e colma di criticità che invece ha comportato un effetto dissuasivo. Effetto dissuasivo che di certo è stato alimentato dall’attuale crisi, dalla totale incertezza sullo scenario economico e futuro e anche dalla normativa emergenziale che ha sancito il divieto di licenziamento salvo le eccezioni dalla stessa dettate.
Ciò è confermato dai dati ISTAT aggiornati al mese di agosto 2020 che hanno evidenziato un crollo verticale dei contratti a tempo determinato: circa 425.000 in meno rispetto ad agosto 2019.
Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.
L’INPS, con messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, ha riassunto ed illustrato agli operatori economici e alle sue sedi territoriali, i principi consolidatisi a livello di giurisprudenza di legittimità circa la compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e/o la figura del socio di società di capitali con un distinto rapporto di lavoro subordinato.
Il messaggio muove le mosse da quanto già precisato sul tema dallo stesso Istituto nella nota circolare 179 dell’8 agosto 1989 (“Accertamenti e valutazione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato”), in parte rivisto alla luce del messaggio 12441 dell’8 giugno 2011.
L’Istituto previdenziale, partendo dall’assunto che l’incarico di amministratore di una società di capitali non esclude a priori la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato purché ne sussistano le relative caratteristiche tipiche (i.e. l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione), si sofferma sulle varie cariche sociali evidenziando, per ciascuna di esse, i limiti alla compatibilità con un parallelo rapporto di lavoro subordinato.
Cariche sociali
In primo luogo, viene presa in esame la carica di presidente del consiglio di amministrazione che, ad avviso dell’Istituto, non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato ferma restando la sottoposizione del presidente medesimo alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale, anche in presenza dell’eventuale conferimento della rappresentanza legale della società.
Quanto sopra, diversamente dall’amministratore unico in quanto “detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina”. La carica di amministratore unico risulta, infatti, incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato in quanto il lavoratore finirebbe per eseguire prestazioni lavorative ordinate dall’organo direttivo, ovverosia da sé stesso.
La compatibilità tra la carica di amministratore delegato ed un parallelo rapporto di lavoro subordinato va invece valutata, secondo la giurisprudenza di legittimità e l’Istituto, in base (i) all’ampiezza della delega conferita dal consiglio di amministrazione, (ii) al numero di eventuali altri amministratori delegati ed (iii) alla facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente.
Stante ciò e ferma comunque restando la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione, l’Istituto – sulla scorta delle sentenze esaminate – ritiene che la figura dell’amministratore delegato al quale siano conferite specifiche e limitate deleghe e che agisca in presenza di altri organi delegati, non sia ostativa all’instaurazione di un genuino rapporto di lavoro.
Da escludere, invece, è la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato in capo all’unico socio di una società di capitali poiché la concentrazione della proprietà delle azioni in capo ad un solo soggetto esclude in nuce la sua effettiva soggezione alle direttive di un organo societario, assurgendo a “sovrano” della società stessa.
Diverso, invece, il caso del socio (non unico) di una società di capitali. In capo a tale figura, anche in presenza di un contemporaneo incarico di amministratore, non è infatti astrattamente possibile configurare un autonomo rapporto di lavoro subordinato previo il concreto accertamento dello svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, contraddistinte in ogni caso dai caratteri tipici della subordinazione.
Prova della cumulabilità tra carica sociale e rapporto di lavoro subordinato
L’Istituto concentra, infine, la propria analisi sulla prova che deve fornire in giudizio il soggetto che voglia far valere il vincolo di subordinazione in presenza di un rapporto di tipo unicamente gestorio.
Prendendo le mosse dalle decisioni della giurisprudenza di legittimità, l’INPS precisa che la cumulabilità tra carica sociale e rapporto di lavoro subordinato presuppone la prova delle seguenti condizioni:
In tale contesto, precisa l’INPS, verranno poi valutati alcuni degli elementi distintivi della subordinazione, quali:
In sostanza, fatta eccezione per il caso del socio unico di società di capitali, l’Istituto ammette il cumulo tra la carica di amministratore e quella di lavoro subordinato purché venga fornita la prova concreta e rigorosa dello svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione.