Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 25 aprile 2022, ha dichiarato antisindacale la condotta di una emittente costituita dalla disdetta unilaterale, ante tempus e con effetto immediato, della parte economica dell’Accordo Integrativo aziendale, decorrente (nel caso di specie) dal 1°giugno 2019 al 31 marzo 2023 che avrebbe dovuto rinnovarsi di anno in anno, salvo disdetta di una delle parti, con preavviso di 6 mesi. Tale Accordo disciplinava anche una serie di emolumenti, tra cui il Terzo Elemento e il Superminimo e la mensa, ed era stato integrato nel febbraio 2020 con la previsione per cui detti emolumenti sarebbero stati erogati negli anni 2020, 2021, 2022 e 2023 a determinate scadenze al personale che avesse pianificato, in ciascuno di essi, la fruizione di tutte le ferie correnti e di parte delle ferie pregresse. Secondo il Tribunale, la pretesa dell’emittente di non applicare più la parte economica dell’Accordo e di non corrispondere più gli emolumenti in questione, fondata sulla generica carenza di pianificazione delle ferie correnti e pregresse, da parte di alcuni dipendenti, è “radicalmente illegittima”. A parere del Tribunale, non vi è alcuna norma pattizia o condotta dei lavoratore, che possa legittimare o giustificare tale disdetta. Il Recesso operato dall’emittente “vulnera l’immagine e la credibilità del sindacato negoziatore degli accordi, poi disattesi”.
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 95/2022, ha affermato che l’adesione ad un CCNL può
essere anche tacita e per fatti concludenti ravvisabili nella concreta applicazione delle relative
clausole. Pertanto, una volta che si possa affermare l’adesione di una parte al contratto, questo
diventa vincolante per la medesima. Nel caso di specie, tre OOSS citavano in giudizio due società
eccependo che le stesse avevano applicato fino a settembre 2021 il CCNL UNIC, il cui termine di
efficacia era stato prorogato al 30 giugno 2023. Secondo le OOSS, dette società, per il solo fatto di
aver cessato l’applicazione del CCNL sostituendolo dall’ottobre 2021 con un altro, avevano tenuto
una condotta antisindacale. A parere del Tribunale, in giudizio era emerso che una delle due società
aveva dato applicazione al CCNL per fatti concludenti, con conseguente sua adesione alla previsione
secondo cui “il contratto, nella sua globalità, si intenderà successivamente rinnovato di anno in
anno qualora non venga data disdetta sei mesi prima della scadenza con lettera raccomandata con
ricevuta di ritorno. In caso di disdetta resterà in vigore sino a che non verrà sostituito dal
successivo”. Pertanto, la volontà espressa da detta società di non applicare il CCNL non può,
secondo il Tribunale, che produrre effetto dal 30 giugno 2023, con conseguente integrale
applicazione dello stesso fino a tale data.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 21 dicembre 2021, ha affermato che, salvo specifiche deroghe previste dalla normativa, il trasferimento d’azienda così come non incide negativamente sulla continuità dei rapporti di lavoro e sul mantenimento dei diritti e degli obblighi nascenti da tali rapporti, non osta di per sé alla continuità delle cariche e delle competenze sindacali interne instaurate sulla base dei rapporti di rappresentanza preesistenti. Ciò soprattutto quando il trasferimento riguarda tutti i lavoratori costituenti la “base elettorale” del rappresentante sindacale, anch’egli passato alle dipendenze dell’impresa cessionaria. Nel caso di specie, una azienda del terziario, dopo aver acquisito 4 rami d’azienda, informava i sindacati che (i) avrebbe applicato ai dipendenti ceduti il proprio CCNL, sostituendo così quello originariamente applicato e, per l’effetto, (ii) le RSA di tali rami erano “automaticamente e immediatamente decadute”. Secondo il Tribunale non appare coerente con le finalità dell’art. 6 della Direttiva 2001/23/CE una interpretazione che abbia come effetto quello di privare i lavoratori ceduti della propria rappresentanza sindacale in un contesto delicato quale è quello del trasferimento d’azienda, con un meccanismo di “decadenza automatica e immediata” destinato a determinare, peraltro, un profondo squilibrio tra le due parti delle relazioni sindacali
Con l’Ordinanza n. 40409/2021 dello scorso 28 ottobre, depositata il successivo 16 dicembre, la Corte di Cassazione ha riconfermato il principio generale secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune, in quanto manifestazione dell’autonomia negoziale dei soggetti stipulanti, devono ritenersi validi ed efficaci esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti stesse. Ne consegue, a parere della Corte, che la previsione della vigenza del contratto fino ad una nuova stipulazione deve essere considerata quale termine di durata in quanto clausola di ultrattività. Nel caso di specie, il CCNL Sanità privata (2002-2005) prevedeva che lo stesso sarebbe stato efficace “fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL”. La Corte ritiene che tale espressione, seppur non contenente una precisa indicazione cronologica, indica la volontà delle parti stipulanti a “vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione”. Peraltro, la Corte chiarisce che in caso di stipulazione di un successivo accordo regolatorio, quest’ultimo deve considerarsi valido ed efficace solo nei confronti delle parti firmatarie e non anche nei confronti delle Organizzazioni Sindacali che avevano aderito al precedente accordo ma non a quello modificativo.
Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 12 aprile 2021, ha ritenuto nullo il recesso anticipato di una società, operante nel food delivery (servizio a domicilio), dal contratto di collaborazione a termine in essere con un proprio lavoratore (ciclofattorino). Ciò in quanto la risoluzione anticipata era stata la diretta conseguenza della indisponibilità del lavoratore ad accettare quale fonte regolatrice del rapporto di lavoro il contratto collettivo di categoria dalla stessa scelto e sottoscritto da associazioni sindacali a cui egli non aveva aderito. Il Tribunale, richiamando precedenti della giurispridenza di legttimità in tema di efficacia soggettiva dei contratti collettivi, ha osservato che non esiste nel nostro sistema delle relazioni industriali alcun dovere del signolo lavoratore di accettare passivamente l’applicazione di un accordo sindacale in cui non si riconosce. Secondo il Tribunale, la società avrebbe potuto decidere di recedere ante tempus dal contratto di collaborazione solo nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Principi che non sarebbero stati rispettati poiché la risoluzione non era “necessitata” e la mancata prosecuzione del rapporto con il lavoratore si è palesata proprio come una “discriminazione per motivi sindacali”. Il Tribunale ha così ordinato alla società il ripristino del rapporto di collaborazione alle medesime condizioni di cui al contratto risolto, condannandola, altresì, a corrispondere al lavoratore le retribuzioni che avrebbe percepito dalla illegittima risoluzione del rapporto fino al suo effettivo ripristino, oltre il risarcimendo del danno non patrimoniale.