Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 17 luglio 2020, ha statuito che “l’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione, prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e che l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e non anche nei rapporti interprivati”.
Alcuni lavoratori somministrati ricorrevano al Giudice di prime cure avverso la società di somministrazione e la società utilizzatrice. Uno dei ricorrenti – nella specie una lavoratrice assunta presso la somministratrice a tempo determinato – nel proprio ricorso rivendicava, tra l’altro, di avere prestato attività lavorativa a favore della utilizzatrice dal 22 giugno 2015 al successivo 30 settembre, con inquadramento nel VI livello del CCNL Vigilanza Privata Armata (il “CCNL”), orario di lavoro full time e mansioni di addetta alla sala conta.
Tanto premesso, la ricorrente deduceva il suo diritto ad essere inquadrata nel IV livello CCNL anziché nel VI livello formalmente a lei attribuito, chiedendo la condanna dell’utilizzatrice, in solido con la società di somministrazione, al pagamento delle relative differenze retributive, come da conteggi allegati al ricorso.
Si costituivano in giudizio, con separate memorie di costituzione, l’utilizzatrice e la somministratrice, contestando le domande dei ricorrenti e chiedendone la reiezione, in quanto infondate; con vittoria di spese.
In particolare, la somministratrice rivendicava:
La causa veniva istruita sulla base della documentazione offerta in comunicazione, avendo il giudice rigettato le ulteriori istanze istruttorie avanzate delle parti e veniva decisa ai sensi dell’art. 83, D.L. 18/2020, conv. in L. 27/2020, previa concessione alle stesse dei doppi termini per il deposito di note e repliche.
Nel caso in esame, il giudice adito ha sostenuto che non era stato specificamente contestato (circostanza comunque provata documentalmente) lo svolgimento delle mansioni di “addetta alla sala conta” (ovvero di addette all’attività di contazione e trattamento del denaro, ricompresa, nella esemplificazione contenuta all’art. 31 CCNL). Il CCNL prevede, con riferimento alla predetta attività, l’inquadramento nel VI livello per i primi 24 mesi di effettivo servizio e, successivamente, il diritto del lavoratore al passaggio automatico nel livello V e nel livello IV, una volta decorsi i termini specificamente indicati nell’art. 31 cit.
Conseguentemente, secondo il giudice è corretto l’iniziale inquadramento della ricorrente nel VI livello per l’espletamento dell’attività di contazione denaro, non avendo, peraltro, maturato l’anzianità di servizio necessaria per il passaggio automatico nel V e nel IV livello.
Né, sempre a parere del giudice, rileva che il IV livello fosse stato attribuito, al momento dell’assunzione, all’altra ricorrente, atteso che, “secondo un consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, non esiste nel nostro ordinamento un principio che imponga al datore di lavoro, nell’ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di retribuzione e/o di inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni, posto che l’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione, prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e che l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e non anche nei rapporti interprivati; sicché, la mera circostanza (priva di ulteriori specificazioni) che determinate mansioni siano state in precedenza affidate a dipendenti cui il datore di lavoro riconosceva una qualifica superiore, è del tutto irrilevante per il dipendente al quale, con diversa e inferiore qualifica, siano state affidate le stesse mansioni (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 16015 del 19/07/2007 0, Rv. 598373 – 01)”.
Sotto altro aspetto, a parere del giudice, non può neanche essere lamentata la violazione dell’art. 36 Cost., costituendo
• il contratto collettivo applicabile (ed in concreto applicato dal datore di lavoro) ed
• i relativi minimi retributivi
il parametro di cui tenere conto ai fini del giudizio circa l’adeguatezza e sufficienza della retribuzione, ai sensi dell’articolo invocato (non ravvisandosi, nella fattispecie, anche a fronte delle – generiche – allegazioni della ricorrente, la violazione del principio di proporzionalità in relazione alla qualità e quantità del lavoro prestato).
A fronte di tutto quanto sopra, il Giudice di prime cure ha rigettato integralmente ogni domanda di cui al ricorso introduttivo con condanna alle spese a carico di parte ricorrente.
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A fronte di questo quesito, si è ritenuto opportuno volgere qualche breve riflessione in merito all’incidenza che questa vicenda potrà avere sui rapporti di lavoro, valutando se la peculiare contingenza possa o meno esonerare l’operatore impossibilitato nell’adempimento del contratto – nel caso di specie, il datore di lavoro che sospende il pagamento della retribuzione – e ad invocare la forza maggiore.
Come noto, all’art. 2094 Cod. Civ., il legislatore definisce prestatore di lavoro subordinato “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Ai fini di nostro interesse, dall’analisi di predetta norma emerge che nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato:
Aggiungiamo che il rapporto di lavoro subordinato è, tra l’altro, caratterizzato:
La relazione tra datore di lavoro e prestatore può essere letta anche sotto il profilo della posizione debitoria e creditoria.
In quest’ottica, il lavoratore subordinato è tenuto a un’obbligazione di fare, ovvero la locatio operarum, tradizionalmente intesa come obbligazione di mezzi (le proprie energie lavorative), il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la retribuzione.
Ciò chiarito, quando il datore di lavoro può sospendere legittimamente il pagamento della retribuzione?
Traslando il contenuto delle disposizioni contenute negli artt. 1206 e 1218 c.c. al rapporto di lavoro subordinato, in forza del sinallagma sotteso al rapporto di lavoro, il datore di lavoro sarà tenuto al pagamento della retribuzione sempre e comunque, ad eccezione del caso di impossibilità della prestazione lavorativa quindi in presenza di un fatto impossibilitante che esprima l’assenza della sua colpa e colpisca il substrato aziendale della prestazione lavorativa (es. alluvione, terremoto).
In tutti gli altri casi, a fronte della messa a disposizione della prestazione di lavoro da parte del lavoratore, il datore di lavoro non può sottrarsi al pagamento dello stipendio.
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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.
L’emergenza in atto integra l’ipotesi di causa di forza maggiore per la sospensione della retribuzione? Quando il datore di lavoro può sospendere il pagamento legittimamente?
A fronte di questo quesito, si è ritenuto opportuno volgere qualche breve riflessione in merito all’incidenza che questa vicenda potrà avere sui rapporti di lavoro, valutando se la peculiare contingenza possa o meno esonerare l’operatore impossibilitato nell’adempimento del contratto – nel caso di specie, il datore di lavoro che sospende il pagamento della retribuzione – e ad invocare la forza maggiore.
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