In un contesto in cui la tecnologia progredisce rapidamente, l’Intelligenza Artificiale (anche nota con l’acronimo inglese A.I.) sta rivoluzionando il panorama lavorativo globale, fungendo da motore di profondi cambiamenti e aprendo orizzonti fino ad oggi completamente sconosciuti.
Il mondo del diritto è dunque chiamato, ancora una volta, a dover disciplinare scenari nuovi che non rispondono ai tradizionali paradigmi legali fino ad oggi conosciuti. Il primo passo in tal senso arriva dall’Unione Europea. Si legge, infatti, sul sito del Parlamento europeo che “come parte della sua strategia digitale, l’UE intende regolamentare l’intelligenza artificiale al fine di garantire migliori condizioni per lo sviluppo e l’uso di questa innovativa tecnologia”. Così, lo scorso 9 dicembre 2023, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento hanno raggiunto un accordo politico sul contenuto del c.d. “A.I. Act” – proposto dalla Commissione nel 2021 – che oggi i tecnici stanno traducendo in una proposta di testo definitiva.
La priorità del legislatore europeo è quella di garantire che i sistemi di A.I. utilizzati siano sicuri, trasparenti, tracciabili, non discriminatori e rispettosi dell’ambiente.
Si assiste dunque ad una presa di coscienza, anche a livello normativo, sul fatto che l’A.I. (i) sia il motore di un cambiamento che solleva questioni etiche, sociali e giuridiche attorno al suo utilizzo e alle relative conseguenze e (ii) rappresenti una delle sfide più importanti e complesse che le imprese sono tenute ad affrontare.
Proprio su quest’ultimo aspetto appare dunque opportuno che le organizzazioni si preparino ad affrontare la profonda trasformazione che, più o meno silenziosamente, è in corso nel mondo del lavoro.
Usufruire di una tecnologia che in maniera autonoma raccoglie informazioni, le elabora, trae da esse conclusioni o prende decisioni, contribuisce alla rapidità con cui le prestazioni possono essere svolte; migliora l’efficienza operativa e riduce l’errore nelle attività rutinarie; impatta sul fabbisogno di personale di una organizzazione aziendale o, ancora, influisce sulla misurazione delle performance di una risorsa umana.
Se da un lato ciò rappresenta una grande opportunità per rendere i processi aziendali più rapidi, affidabili ed economici, dall’altro diverse sono le problematiche in agguato. Tra esse, per quanto qui di interesse, segnaliamo (i) i bias e (ii) il rischio di un controllo datoriale intensivo.
La tecnologia, sebbene artificialmente intelligente, viene programmata da esseri umani e in quanto tale può quindi risentire dei pregiudizi dei loro programmatori, riflettendo e amplificando eventuali errori presenti nelle informazioni elaborate.
Per come la conosciamo oggi, infatti, la A.I. di tipo generativo è programmata per apprendere e (auto)addestrarsi al fine di migliorare nel tempo, e ciò anche in base alle informazioni che le vengono fornite. Il rischio di replicazione dei bias è dunque altissimo.
Non solo. l’A.I. fornisce ed elabora una quantità di dati inimmaginabili ed è anche in grado (direttamente o indirettamente) di consentire un intensivo controllo a distanza dei dipendenti.
Ciò posto, nell’ordinamento italiano il controllo a distanza è dettagliatamente disciplinato e consentito solo con modalità ed in presenza di condizioni stringenti previste dalla legge, tra cui anche il pieno rispetto delle previsioni in materia di data protection. Materia questa che gioca un evidente ruolo fondamentale quando si tratta di A.I.
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