Con il DPCM del 22 marzo 2020 (“Decreto”), il Governo sancisce, sull’intero territorio nazionale, la “sospensione delle attività produttive industriali o commerciali”, salvo che non siano organizzate con modalità di lavoro a distanza o lavoro agile. Le aziende interessate potranno completare le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo p.v., compresa la spedizione della merce in giacenza. Il Decreto definisce, altresì, l’elenco di circa 100 attività che fanno eccezione all’obbligo di sospensione (All.1). Per tali aziende, è espressamente prescritta l’applicazione del Protocollo del 14 marzo 2020 in materia di misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro. Le disposizioni di cui al Decreto producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 sino al 3 aprile 2020.
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Lo studio legale De Luca & Partners rimane a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.
Qui la notizia ripresa da Business People in merito al commento di Vittorio De Luca.
Da un giorno con l’altro le imprese hanno dovuto ripensare l’organizzazione del lavoro, rivalutando il telelavoro. Ma cosa succede se c’è chi non ha voluto o potuto adottare questa nuova modalitàda tradurre in inglese e francese.
Nonostante l’emergenza coronavirus, l’invito del governo a stare a casa e a utilizzare – dove possibile – la modalità del lavoro agile, l’azienda non ricorre al lavoro agile? Il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile di un eventuale contagio del dipendente. È il punto di vista di Vittorio De Luca di De Luca & Partners, studio legale specializzato in diritto del lavoro. “Diciamo subito che sino a quando non sarà cessata l’emergenza Covid-19, il datore di lavoro non è totalmente libero di decidere se ricorrere o meno al lavoro agile”, sottolinea l’avvocato. “In effetti, il Dpcm dell’ 11 marzo, prevede che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Nella sua analisi De Luca considera anche il fatto che sul datore di lavoro incomba un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del lavoratore (art. 2087 cod. Civ.). “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, spiega il legale. “Il datore di lavoro deve, cioè, adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, le misure generiche dettate dalla comune prudenza e tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoratore secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica. La violazione di questo obbligo comporta il rischio che sia imputata al datore di lavoro la responsabilità, in questo caso, di un eventuale contagio e della diffusione dello stesso. Il datore di lavoro potrebbe essere pertanto chiamato a risarcire il lavoratore per l’eventuale danno patito e a rispondere dei reati che danno origine alla responsabilità amministrativa della società”.