Con la recente ordinanza n. 25603 del 1° settembre 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che il lavoratore che abbia subito un infortunio sul lavoro, oggetto di successiva transazione con il datore di lavoro, può sempre chiedere il risarcimento dei danni manifestatisi successivamente e non prevedibili al momento della transazione stessa, anche nella misura in cui quest’ultima attenga ai danni futuri. A tal fine, tuttavia, il danneggiato ha l’onere di dimostrare che i danni di cui richiede la liquidazione siano riconducibili ad aggravamenti successivi ed imprevedibili al momento della transazione.
In data 14 giugno 2005, un lavoratore rimaneva vittima di un infortunio sul lavoro utilizzando un muletto. Nel 2010, il lavoratore instaurava un primo giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia, nei confronti del datore di lavoro e della società proprietaria del muletto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro.
Nelle more del giudizio, nell’ottobre del 2012, le parti addivenivano ad una transazione stragiudiziale con rinuncia agli atti ed all’azione giudiziale da parte del lavoratore.
Successivamente, nel 2014, quest’ultimo instaurava un ulteriore giudizio nei confronti del datore di lavoro e della società proprietaria del muletto chiedendo al Tribunale di Venezia di:
Il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso per non aver il lavoratore fornito la prova dell’aggravamento di salute conseguente all’infortunio e, soprattutto, dell’imprevedibilità dello stesso alla data della transazione.
Il lavoratore ricorreva così dinanzi alla Corte d’appello di Venezia che confermava la sentenza del giudice di prime cure. In particolare, la Corte d’appello affermava il principio secondo cui il danneggiato, anche dopo aver transatto la lite con il danneggiante, può sempre domandare il risarcimento dei danni sopravvenuti e non ragionevolmente prevedibili al momento della transazione, anche se riferita a danni futuri.
Contestualmente, tuttavia, la Corte d’appello di Venezia motivava il rigetto per mancanza di prova circa il preteso imprevedibile aggravamento delle condizioni di salute post transazione del lavoratore che, al contrario, aveva dedotto unicamente una limitata modificazione delle proprie condizioni, senza nulla provare circa la rilevanza e l’imprevedibilità dell’aggravamento di salute rispetto all’epoca della transazione.
Investita della questione, la Corte di Cassazione ha confermato le pronunce dei giudici di merito.
Gli Ermellini hanno infatti rigettato il ricorso per non avere il lavoratore fornito prova dell’imprevedibilità del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla transazione, non essendo a tal fine sufficiente – precisa la Corte – la patologica evoluzione successiva alla transazione stessa, occorrendo dimostrare che essa fosse anche imprevedibile al momento della sottoscrizione dell’accordo.
La Corte di Cassazione ha respinto altresì l’asserita violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova lamentata dal ricorrente, rilevando che l’imprevedibilità dei danni futuri deve ritenersi requisito costitutivo della domanda di risarcimento e come tale deve essere allegato e provato da parte di chi agisce in giudizio in entrambe le sue componenti: l’aggravamento e l’imprevedibilità al momento della liquidazione.
Diversamente argomentando, infatti, l’efficacia preclusiva della transazione sui danni alla persona sarebbe esposta ad ogni genere di revisione postuma, con lo spostamento della prova a carico del convenuto che nulla potrebbe sapere dell’aggravamento della vittima e della sua o meno prevedibilità.
Gli Ermellini hanno poi confermato poi il principio di diritto – già espresso nel secondo grado di giudizio dalla Corte di Appello di Venezia – secondo cui il soggetto danneggiato che abbia transatto la lite può sempre chiedere il risarcimento dei danni (alla persona), manifestatisi successivamente e non prevedibili al momento della transazione, quand’anche le parti abbiano fatto riferimento in transazione ai danni futuri.
A tal fine, precisa la Corte, il ricorrente ha però l’onere di individuare specificatamente” gli elementi idonei (…) a consentire la revisione della liquidazione del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato” che devono necessariamente essere riconducibili a:
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L’art. 2087 impone al datore di lavoro di predisporre tutte le misure idonee, secondo l’esperienza, la tecnica e la particolarità del lavoro, a prevenire situazioni di danno per la salute fisica e la personalità del lavoratore.
La norma, come noto, rappresenta una norma c.d. “aperta” e in quanto tale obbliga l’imprenditore ad adottare, ai fini della tutela delle condizioni di lavoro, non solo le particolari misure previste dalla legge in relazione ai rischi specifici connessi con un determinato tipo di lavorazione, ma anche quelle generiche dettate dalla comune esperienza o che si rendano in concreto necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza ed alla tecnica.
Con riferimento ai contratti di appalto il legislatore ha, altresì, previsto obblighi di sicurezza specifici nelle di ipotesi in cui l’appalto si svolga all’interno dell’azienda (o di un’unità produttiva) del committente. In particolare, il committente è tenuto a verificare l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e a fornire alle imprese appaltatrici dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Tali obblighi sorgono nei casi in cui il committente abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto.
Inoltre, il committente e l’appaltatore (ed eventuali subappaltatori) devono cooperare per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
Con la pronuncia in commento la Cassazione ha avuto modo di stigmatizzare che, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione in capo al committente non si esauriscano negli accordi contrattuali assunti con l’appaltatore, posto che la normativa vigente impone ai datori di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull’attività oggetto dell’appalto.
La versione integrale dell’approfondimento è stata pubblicata sul numero 29 di Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’“INL”) ha emanato due note, a breve distanza l’una dall’altra, con le quali ha fornito i primi chiarimenti in merito alle modalità ispettive sui luoghi di lavoro alla luce delle linee guida in materia, condivise nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19” (il “Protocollo”) sottoscritto dalle parti sociali il 14 marzo 2020 (da ultimo, aggiornato lo scorso 24 aprile).
Nota 131 del 10 aprile 2020
La nota n. 131 del 10 aprile 2020 si propone l’obiettivo di ricondurre ad uniformità e coerenza le condotte da tenere sui luoghi di lavoro anche a fronte della sopravvenuta evoluzione del quadro normativo emergenziale di riferimento. Quadro normativo che, giova ricordarlo, ha:
Secondo l’INL l’attività ispettiva si concentrerà principalmente sulle modalità di attuazione, da parte dei datori di lavoro, delle procedure organizzative e gestionali disposte dalle autorità e oggetto del menzionato Protocollo.
E’ stato, altresì, precisato che la professionalità degli ispettori potrà tornare utile anche sotto forma di funzione di agevolazione, mediazione, deflazione e verifica dei processi di utilizzo delle risorse pubbliche dedicate al sostegno di famiglie, lavoratori, imprese e credito, come di quelli di accesso agli ammortizzatori sociali.
Nota 149 del 20 aprile 2020
Con la successiva nota n.149 del 20 aprile 2020, l’INL ha fornito degli ulteriori chiarimenti in merito alle modalità di controllo da parte dei propri ispettori circa il rispetto delle condizioni previste per la prosecuzione delle attività produttive, industriali e commerciali.
La nota prevede che gli Ispettori dovranno effettuare le attività di verifica in stretto raccordo con i competenti servizi delle Aziende Sanitarie Locali, con le quali dovrà avvenire, inoltre, una programmazione previamente concordata contenente le liste di aziende sulle quali orientare i controlli. Ciò viene previsto anche al fine di agevolare la corretta individuazione degli obiettivi da perseguire. Tuttavia, gli ispettori, qualora si trovino in presenza di evidenti violazioni di particolare gravità ed urgenza, tali da imporre verifiche immediate in loco, potranno svolgerle ugualmente anche in assenza del rispetto del sopramenzionato iter.
Oltre a ciò, la nota specifica che per questo tipo di accertamenti, la scelta del personale ispettivo da utilizzare dovrà avvenire prioritariamente su base volontaria e, soprattutto, che lo stesso dovrà essere fornito dei dispositivi di protezione personale atti allo scopo.
Infine, la nota contiene degli allegati quali (i) una” linea delle verifiche sul protocollo anti-contagio”, (ii) un modello di verbale di accesso e verifica, denominato “Covid-19”, (iii) una lista di dispositivi di protezione individuale (DPI), con le relative istruzioni di utilizzo da parte del personale ispettivo e, infine, (iv) una check list con le verifiche da effettuare; si tratta di una sorta di questionario a risposta chiusa (SI/NO) che dovrà essere compilato dall’ispettore.
Sul profilo sanzionatorio viene previsto che gli ispettori, qualora dovessero constatare l’inosservanza di una o più misure prevenzionistiche oggetto del “Protocollo”, non procederanno con la comminazione al datore di lavoro di una sanzione. Essi dovranno trasmettere, alle competenti Prefetture, l’esito degli accertamenti, ovvero del verbale di accesso e della check list compilata, ricapitolando le omissioni e/o le difformità riscontrate per l’adozione degli eventuali provvedimenti di competenza. Sarà quindi poi la Prefettura, sulla base di tale segnalazione, ad adottare eventuali misure, anche di carattere interdittivo, in capo all’azienda.
L’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del virus Covid-19 ha provocato una vera e propria emergenza economica.
Basti pensare che il “lock-down” unitamente alle altre azioni per prevenire la diffusione del virus disposte con il Dpcm del 22 marzo 2020 e prorogate sino al prossimo 3 maggio 2020 con il Dpcm del 10 aprile 2020, ha imposto la sospensione della gran parte (si stima non meno del 50%) delle attività produttive.
Nei prossimi giorni, l’Italia dovrebbe avviare la Fase 2, in cui si assisterà ad una graduale ripartenza.
In preparazione delle complesse situazioni che le aziende si apprestano ad affrontare, assistiamo ad un susseguirsi di innumerevoli interventi da parte di istituzioni ed enti, a livello sia internazionale, sia nazionale e regionale, volti all’elaborazione di linee guida contenenti misure di prevenzione per ridurre la diffusione del virus nei luoghi di lavoro e per garantire una ripartenza delle attività imprenditoriali in sicurezza.
Basti pensare al “Covid-19: guidance for the workplace” pubblicato dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) e al “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” pubblicato dall’INAIL sottoposto attualmente all’attenzione del Governo che lo utilizzerà come ulteriore fonte sulla quale implementare le prossime misure di prevenzione per l’attesa Fase 2.
Il Documento Tecnico si propone l’obiettivo di fornire all’operatore politico, dunque in ultima analisi proprio al Governo, informazioni anche di natura statistica utili per compiere una valutazione finalizzata a determinare i livelli di priorità progressiva di intervento sulla ripresa delle attività produttive durante la tanto spesso auspicata Fase 2, nonché delle strategie di intervento eventualmente da implementare sui luoghi di lavoro.
Il documento si compone principalmente di due parti: la prima parte contiene un’analisi utile a definire l’ambito di rischio e ad individuare in quale di questi ambiti di rischio ricade ogni lavoratore a seconda del proprio impiego, la seconda, invece, detta linee generali di contenimento del rischio sui luoghi di lavoro.
Tuttavia, anche il Documento Tecnico, seppur di pregevole contenuto, omette di considerare che talvolta la realtà aziendale è così complessa da non potersi esaurire in linee guida o protocolli che individuano generiche, seppur articolate, misure di prevenzione. In altre parole, tutti questi documenti, seppure indubbiamente utili, hanno un limite incolpevole legato alla contingenza pandemica in corso.
A ciò deve essere aggiunto che le modalità di diffusione del COVID-19 (peraltro non tutte note) tramite azione di fattori microbici o virali che penetrano nell’organismo umano sono tali per cui il rischio di contagio si può ridurre ma certamente non eliminare del tutto.
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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro
A poco più di un mese dalla sua sottoscrizione, il “Protocollo per la regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, siglato dalle Parti Sociali lo scorso 14 marzo e allegato al DPCM del 26 aprile 2020, ha subito una rielaborazione in vista del ritorno alle attività produttive durante la tanto attesa Fase 2 (il “Protocollo”).
Il Protocollo ha recepito in buona parte i suggerimenti forniti dall’INAIL con il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” dello scorso 21 aprile.
Viene espressamente previsto che (i) la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino adeguati livelli di protezione per le persone che lavorano e che (ii) la mancata attuazione del Protocollo determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Ciò premesso, vengono di seguito sintetizzate le principali novità:
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Lo studio legale De Luca & Partners rimane a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.