Pubblicato il Protocollo che contiene le linee guida per l’adozione da parte delle aziende di protocolli di sicurezza in attuazione delle disposizioni contenute nel DPCM dell’11 marzo e che favorisce il confronto con le rappresentanze sindacali presenti sui luoghi di lavoro, affinché le misure adottate siano condivise e rese più efficaci mediante il contributo delle persone che lavorano all’interno dell’azienda, tenendo conto delle specificità di ogni singola realtà produttiva.
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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 54 depositata il 3 gennaio 2020, è tornata a esprimersi sulla distribuzione delle responsabilità in materia di obblighi di prevenzione infortuni nelle società di capitali. Esprimendo un principio generale, la Corte ha prima di tutto evidenziato che nelle società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro“gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia”. Nel caso in esame un consigliere delegato di una società di capitali aveva impugnato la sentenza della Corte di Appello di Firenze, di conferma della pronuncia di primo grado, con la quale era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose, per aver, con condotta omissiva consistente nel non aver adeguatamente adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, cagionato lesioni personali ad un lavoratore infortunatosi nello svolgimento della prestazione lavorativa. Avverso tale decisione ricorreva per cassazione il consigliere delegato. Nello specifico, il ricorrente lamentava in primo luogo che la Corte d’Appello, nell’ascrivergli la responsabilità per l’infortunio, non avesse considerato che all’interno dell’organizzazione aziendale fossero presenti altre figure specificamente designate alla gestione integrale dei rapporti di lavoro. In particolare, il consigliere delegato ricorrente sosteneva che nel suo caso non dovesse trovare applicazione il principio del cumulo delle responsabilità in capo ai vertici dell’azienda, in presenza di un soggetto esterno al Consiglio di Amministrazione, agente quale preposto, in quantotale responsabile esclusivo anche per il rispetto degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. La Suprema Corte, nel rigettare il motivo di ricorso, ha evidenziato che il trasferimento di responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro può avvenire esclusivamente per effetto di formale delega di funzioni prevenzionistiche, espressamente disciplinata dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (art. 16 D.Lgs. 81/2008). Al contrario, i poteri e le attribuzioni di responsabilità (diverse dalla sicurezza sul lavoro) in capo a dirigenti e preposti non necessiterebbero di alcun atto datoriale, derivando direttamente a titolo originario dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche di ciascuna delle predette figure (art. 299, D.Lgs. 81/2008), la “delega di funzioni” in questione, che comporta il trasferimento dal datore di lavoro ad altro soggetto degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza, oltre al subentro del delegato nella posizione di garanzia del delegante, necessita di un atto esplicito nelle forme di cui all’art. 16 del D.lgs. 81/2008.
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La Corte di Cassazione, nella sentenza 53285 del 23 novembre 2017, ha ribadito alcuni principi fondamentali in tema di responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 e sicurezza sul lavoro. In particolare, secondo la Suprema Corte i presupposti della responsabilità amministrativa del vantaggio o dell’interesse dell’ente sono (i) da riferirsi alla condotta e non all’evento e (ii) tra loro alternativi e concorrenti, “esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito”. In ultimo, nel corpo della sentenza, si ribadisce, sulla scorta di un precedente orientamento, come l’esiguità del vantaggio o la scarsa rilevanza dell’interesse non può fungere da esimente della responsabilità dell’ente. In considerazione di quanto detto, la Corte ha ricollegato, nel caso sottoposto al suo esame, la responsabilità amministrativa del datore di lavoro all’inidoneità del DVR adottato ed all’inadeguatezza dell’attività di formazione ed informazione del dipendente vittima di gravi lesioni personali, laddove con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente hanno evidenziato “l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spese-guadagno”.