La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7567 del 27 marzo 2020, ha osservato che in tema di giusta causa il giudice è tenuto a verificare la condotta addebitata al lavoratore, in tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi che la compongono, al d là della tipizzazione contenuta nel contratto collettivo.

I fatti di causa

Il caso di specie trae origine da un diverbio litigioso sorto tra un lavoratore con mansioni di operaio e il proprio capoturno all’interno dei locali aziendali; nel corso della menzionata lite, il primo colpiva il secondo con un calcio al ginocchio.

Il lavoratore veniva così licenziato per giusta causa sulla scorta della previsione del CCNL per gli addetti all’industria chimica e chimico-farmaceutica che riconduce tale fattispecie nelle ipotesi di “grave perturbamento della vita aziendale” le quali giustificano, per l’appunto, il licenziamento in tronco.

A seguito dell’impugnazione del licenziamento e, in particolare, a conclusione della fase sommaria del rito “Fornero”, il lavoratore otteneva l’annullamento dello stesso con annessa tutela reintegratoria e risarcitoria ai sensi dell’art. 18, co. IV, L. n. 300 del 1970.

La società ex datrice di lavoro, a questo punto, proponeva ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale, il quale, accertata la sussistenza del fatto, respingeva il ricorso ritenendo l’episodio, in ogni caso, non idoneo a recare un “grave perturbamento della vita aziendale”.

Anche in appello veniva confermata la decisione di primo grado: in particolare, i giudici distrettuali del capoluogo meneghino, sottolineavano come la società pur avendo contestato l’alterco litigioso e le vie di fatto verificatisi all’interno del perimetro dello stabilimento, non aveva tuttavia enunciato l’essenziale parametro del “grave perturbamento della vita aziendale”, né aveva precisato, come invece avrebbe dovuto, l’effettiva connotazione di quest’ultimo nel quadro dell’intero episodio, segnalando quali fossero state in termini di effetti le gravi alterazioni della vita aziendale che si erano verificate. Conseguentemente, i giudici del gravame ritenevano la contestazione non idonea a contenere alcun riferimento all’evento e alla sua gravità, elementi essenziali sia ad integrare la stessa contestazione sia a porre l’incolpato in condizione di articolare una difesa possibilmente volta a negare l’evento e i suoi connotati.

Avverso la sentenza di secondo grado la società proponeva ricorso in cassazione a tre motivi, a cui resisteva il lavoratore.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione investita della causa ha sottolineato preliminarmente come la nozione legale di giusta causa prescinde dalle previsioni del contratto collettivo. Pertanto, “l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha” una “valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento o comportamento del lavoratore” tale da “far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore”. I Giudici di legittimità hanno dunque osservato che nella verifica circa l’esistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento, il giudice di merito incontra il solo limite che “non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione, vale a dire alla condotta contestata al lavoratore”. Oltre a ciò, nella sentenza de qua, si legge che “il giudice chiamato a verificare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento” è comunque sempre tenuto a verificare se la previsione del contratto collettivo sia conforme alle nozioni di giusta causa e giustificato motivo. Lo stesso deve “verificare la condotta, in tutti gli aspetti soggettivi ed oggettivi che la compongono, anche al di là della fattispecie contrattuale prevista”. Pertanto, la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di licenziamento non può considerarsi vincolante.

I Giudici di legittimità, così, ritenendo che la corte territoriale avesse omesso di valutare la gravità della condotta contestata e di conseguenza la proporzionalità della sanzione espulsiva – in contrasto con quanto richiesto dall’art. 2119 cod. civ – hanno cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’appello in diversa composizione.