Il Tribunale di Vasto, con sentenza n. 116/2022, ha dichiarato antisindacale la condotta datoriale consistente nella violazione del verbale di conciliazione sottoscritto con l’organizzazione sindacale ricorrente (nello specifico la FILCAMS CIGL Chieti) per non aver adempiuto all’impegno preso di riaprire le trattative per il rinnovo dell’accordo integrativo aziendale. Secondo il Tribunale, la condotta assunta è volitiva dei principi di correttezza e buona fede; nonostante il contenuto del verbale, dal comportamento successivamente assunto dal datore è emerso che lo stesso non aveva alcuna seria, effettiva e fattiva intenzione di procedere a rinegoziare le condizioni per la stipula dell’accordo collettivo integrativo. Tale condotta, a parere del Tribunale, ha recato pregiudizio alla FILCAMS, poiché la riapertura aveva in essa ingenerato la legittima aspettativa di poter esercitare le proprie prerogative. Prerogative poi “frustate” dalla condotta inadempiente del datore di lavoro che, nell’apposito incontro, l’aveva messa di fronte al bivio di aderire o non aderire all’accordo già raggiunto con le altre sigle sindacali. Così il Tribunale ha condannato la società ad adempiere a quanto previsto nel verbale di conciliazione e, quindi, a riaprire le trattative per il rinnovo del contratto integrativo, assumendo a tal fine una condotta conforme ai principi di correttezza e buona fede.
Il Tribunale di Bari, con sentenza del 6 aprile 2022, ha affermato che la conciliazione in sede sindacale ex art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., conclusa con l’assistenza di un rappresentante sindacale non appartenente al sindacato a cui il lavoratore è iscritto, inficia la validità delle relative rinunzie e transazioni sottraendole al regime di inoppugnabilità di cui all’art. 2113, comma 4, cod. civ.
Nel caso di specie, il lavoratore impugnava dinnanzi al giudice del lavoro il verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale con cui, a fronte dell’anticipo di parte del TFR, aveva rinunziato ad ogni pretesa a titolo di spettanze e differenze retributive.
Ripercorse le vicende del rapporto lavorativo intercorso con la società convenuta, il lavoratore eccepiva di aver sottoscritto l’accordo, alla presenza del sindacalista della UGL, su impulso unilaterale del datore di lavoro e senza alcuna volontà condivisa. Deduceva, in particolare, di non essere mai stato iscritto a tale sindacato e di non averne mai chiesto l’assistenza, invocando la declaratoria di nullità del verbale di conciliazione sottoscritto con la società.
Il Tribunale di Bari, nel motivare la propria decisione, ha richiamato precedenti orientamenti giurisprudenziali secondo i quali, ai fini della validità delle rinunzie e transazioni, è imprescindibile “che vi sia stata un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di propri rappresentanti sindacali” (cfr Cass. civ., Sez. lav., 03/09/2003, n. 12858).
Quale che possa essere, invero, la configurazione giuridica del rapporto fra il sindacato e l’aderente ad esso, è evidente, secondo la sentenza, che solo i rappresentanti sindacali del lavoratore sono quelli qualificati ad assisterlo ed a tutelare i suoi interessi, impedendo quel vizio d’invalidità che altrimenti inquinerebbe l’atto di rinunzia o transazione. Altre forme di presenza non possono, pertanto, ritenersi idonee a sottrarre la rinunzia e la transazione al regime legale d’invalidità di cui si è detto.
Né può darsi, secondo il giudice, alcun valore all’incarico che il lavoratore abbia conferito contestualmente alla sottoscrizione del verbale di conciliazione. Ciò in quanto la circostanza di averlo rilasciato al momento in cui si transige lo rende inidoneo a comprovare che il lavoratore abbia ricevuto una effettiva assistenza. Alla luce della sentenza in commento, che si innesta nel solco di un indirizzo tracciato dalla giurisprudenza, si può concludere che, qualora l’assistenza al lavoratore in una delle cosiddette sedi protette sia stata resa dal rappresentante di una sigla sindacale a cui non era iscritto, le relative rinunzie e transazioni saranno da considerarsi soggette al regime di invalidità e di impugnazione (nel termine di 6 mesi) previsto dall’art. 2113 cod. civ.
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